Devo ammettere che non mi hanno affatto convinto le motivazioni addotte da Mario Draghi relativamente all’impegno del nostro Paese e dell’Europa a perseguire l’obiettivo delle spese militari al 2% del pil. Sollecitato da una domanda del giornalista di Avvenire, che richiamava uno stupendo articolo di fondo Di Marco Tarquinio, il nostro premier ha “brontolato” sostanzialmente due giustificazioni per la “follia riarmista” dell’Europa: due crono-giustificazioni risibili al limite della presa in giro.
Quello del 2% del pil sarebbe infatti un obiettivo fissato da parecchio nelle sedi competenti e nei documenti in materia, vale a dire a livello Ue, impegno alla cui osservanza i Paesi europei sarebbero stati peraltro ripetutamente richiamati da parte degli Usa (in modo particolare da Donald Trump).
Non voglio dare a Draghi ed al suo governo tutta la responsabilità di questa scelta, ma la mutata situazione internazionale non dovrebbe spingere a rinverdire tali accordi, ma semmai a rimetterli in discussione. Lasciamo pur perdere le argomentazioni etiche, che non sarebbero mai da dimenticare, ma anche sul piano squisitamente politico non mi sembra proprio il caso di pensare ad un simile spreco di risorse davanti alle prospettive di “fame mondiale”, di recessione economica, di emigrazioni bibliche, di milioni di persone letteralmente allo sbando. Sarebbe proprio il momento di rivedere al ribasso questi programmati stanziamenti per la difesa in armi, girandoli su capitoli di bilancio assai più urgenti e vitali.
Scrive al riguardo Marco Tarquinio: “Diciamo che si può e si deve, piuttosto, spendere molti miliardi in meno per le strutture militari, ottenendo – grazie a economie di scala e a un oculato riorientamento delle risorse – uno strumento di difesa militare europeo meno costoso eppure più efficiente e potendo, al tempo stesso, investire seriamente in quella grande, costruttiva, civilissima politica di difesa attiva che si chiama cooperazione internazionale allo sviluppo”.
La seconda motivazione fa riferimento nientemeno che ai padri fondatori dell’Europa richiamandone la volontà di difesa comune. Per favore, non bestemmiamo! Non diamo la colpa a De Gasperi, Adenauer e Schuman e tanto meno ai pionieri di Ventotene. Non scherziamo col fuoco della storia. Lascio a Tarquinio il commento: “La spesa complessiva per armi degli Stati europei della Nato (più di 330 miliardi di dollari, più i quasi 70 della Gran Bretagna) supera di gran lunga quella della Russia, tra tre e quattro volte tanto. Chiunque, insomma, ma soprattutto chi siede in Parlamento e chi s’intende anche minimamente di economia, dovrebbe aver chiaro che c’è soprattutto una cosa da fare con decisione: far decollare per davvero, purtroppo con settant’anni di ritardo rispetto all’intuizione dei padri dell’Europa comunitaria, un’integrazione degli Stati dell’Unione – o di almeno un nucleo trainante – che faccia perno su una comune politica estera e di difesa. Un’opzione limpida e solida nella realtà internazionale multipolare di oggi, nella quale la politica e la cooperazione sono la prima difesa della pace, e con le armi non si fa la politica. Ci sono pochi e sensati passi da compiere nella nebbia armata di guerra e di morte che ancora grava sul mondo e ora dolorosamente sull’Europa. E non possono essere, vergognosamente, per entrarci ancora più a fondo. Ma per uscirne”.
Capisco che Mario Draghi non abbia la preoccupazione di essere rieletto (questo indubbiamente gli ha dato autonomia ed autorevolezza) e quindi di lisciare il pelo all’opinione pubblica italiana, ma tenga comunque conto della voce del popolo che in questo caso più che mai corrisponde alla voce di Dio (vedi papa Francesco). Cedo ancora la penna al direttore di “Avvenire”: “Meglio essere espliciti: se noi italiani avessimo davvero dieci-dodici miliardi di euro da stanziare sull’unghia, qualcuno dubita del fatto che sarebbe meglio metterli subito su sanità e scuola e famiglia con figli? Non è una domanda retorica e non è uno slogan facile, perché gli italiani (quasi tutti) hanno ormai capito che non c’è mai niente di facile quando si tratta di mettere soldi nelle poste di bilancio più necessarie e giuste. L’importante è che sia chiaro che non c’è motivo di spendere anche un solo centesimo in più per gli apparati militari. E non soltanto per una sacrosanta obiezione di coscienza. Obiezione a un mondo ricco che non trova ancora le risorse morali e materiali necessarie per vaccinare e curare tutti gli uomini e tutte le donne del nostro pianeta ancora stretto nella morsa della pandemia. Obiezione a un mondo tecnologicamente avanzato che continua a far spendere alla parte più povera dell’umanità i soldi che non ha per acquistare e usare armi vecchie e nuove. A noi, in verità, quest’obiezione morale basta. E basta la consapevolezza costituzionale che la Repubblica di cui siamo cittadini ripudia la guerra come strumento nelle relazioni con gli altri Stati”.
Auspico quindi che Mario Draghi ci ripensi e non spinga sull’orlo della crisi il suo governo. Il M5S, seppure in modo strumentale e tattico, sembra mettere in discussione la scelta governativa sulla spesa militare. Il partito democratico sa solo essere più draghista di Draghi e quindi difende a spada tratta la linea sul 2% del pil per le spese militari. Forse è un gran brutto ulteriore segno della fine di una sinistra ancorata ai valori del progresso e della pace.
Enrico Letta lascia addirittura intendere di rompere ogni e qualsiasi possibile alleanza col M5S su questo argomento: cerca accordi quando hanno torto, rompe quando hanno ragione. E chi ci capisce qualcosa è bravo! Se Letta rimaneva in Francia ad insegnare la politica ai giovani era molto meglio anziché tornare in Italia a coniugarla col nulla.