Coniugare eroismo con realismo

La partecipazione del professor Alexander Rodnyansky, consigliere e negoziatore di Zelensky, alla trasmissione “otto e mezzo” su La 7 è indubbiamente servita a capire qualcosa di più sulla resistenza ucraina, sulle sue esigenze, sui suoi obiettivi, sui suoi scopi a breve, medio e lungo termine.

In premessa bisogna considerare che la trattativa diretta aperta da giorni fra Russia ed Ucraina è poco più di una pantomima, che a Putin serve solo per prendere tempo e a Zelensky per dimostrare di avere in mano il suo popolo.

Dall’interessante fuoco di fila delle domande a cui è stato sottoposto il consigliere di Zelensky è emersa una notevole debolezza diplomatica (non poteva essere diversamente), una forte capacità provocatoria nei confronti dell’Europa e dell’Occidente, una ammirevole compattezza della resistenza in atto, una certa contraddittorietà di obiettivi: il tutto condito da un giustificabile pizzico di disperata demagogia. In buona sostanza, fintanto che si resta a livello di pura resistenza verso l’invasore, il discorso regge eroicamente, ma, quando si va oltre per prefigurare un futuro, il discorso si fa politicamente alquanto vago e velleitario.

Sul piano diplomatico l’Ucraina non è disposta a cedere pezzi di territorio (resta da definire la sorte del Donbas e della Crimea anche se tutto lascerebbe intendere che la Russia non sia soddisfatta di queste pur importantissime annessioni), mentre si dichiara aperta a discutere di neutralità del Paese (accontentandosi di garanzie di sicurezza da parte degli Usa e della Nato), addirittura disponibile a riconoscere una sorta di status per la lingua russa e a concordare una politica a livello di toponomastica (questa sembra più un esempio di apertura che una vera e propria questione rilevante da trattare).

L’Ucraina chiede insistentemente all’Occidente di svegliarsi e di rompere con la Russia, di concedere agli aggrediti immediatamente più armi, più sistemi di difesa, una protezione dei cieli dal punto di vista militare, di adottare l’embargo su petrolio e gas provenienti dalla Russia, esportazioni con le quali Putin finanzia la guerra.

Gli ucraini non danno alcuna importanza alla dissidenza russa: il regime di Putin ha l’appoggio del popolo a cui viene scientificamente lavato il cervello e quindi non può essere incidente una contestazione da parte di ristrette minoranze impegnate a livello culturale ed artistico.

Emerge un certo scetticismo nei confronti della Nato e della Ue: la prima troppo timorosa delle reazioni russe verso la cosiddetta “no fly zone” sui cieli ucraini; la seconda prigioniera della contrarietà a interrompere bruscamente gli approvvigionamenti di petrolio (Germania) e di gas (Italia soprattutto).

In effetti l’Occidente non è attualmente in grado di fare a meno del petrolio e del gas russi, se non con enormi ripercussioni negative sulla situazione economica: siamo alle solite, è difficilissimo aiutare gli altri senza tirare la cinghia. Tutto sommato è meglio fornire armi a costo di allungare all’infinito la guerra in atto.

Il professor Rodnyansky sostiene che per mettere in braghe di tela Putin occorra chiudergli i rubinetti energetici in faccia: dirlo è provocatoriamente facile, farlo è assai più problematico almeno nel breve termine.

La maggior contraddizione sta però nell’obiettivo di fondo che si sta ponendo l’Ucraina: fermare la guerra o puntare alla caduta di Putin? Se si punta al crollo del regime putiniano i tempi inevitabilmente si allungano, se ci si “accontenta” della fine della guerra, i tempi potrebbero essere più brevi. Traspare l’opzione per la fine del regime russo riconoscendo che nessun serio equilibrio internazionale possa essere ottenuto mantenendo rapporti con uno Stato/mina vagante per tutti, che non è interessato alla pace.

Mi sembra che ai tanti interrogativi emergenti dal confronto televisivo con questo autorevole personaggio facente parte della leadership ucraina, dia risposta indirettamente il professor Massimo Cacciari, in una breve ma lucida analisi della situazione bellica: «Al di là di ogni propaganda, è necessario trattare, giungere al cessate il fuoco e aprire un tavolo politico-diplomatico al massimo livello. Poiché la crisi è globale, infinitamente più di quelle medio-orientali, dell’Afghanistan, dello stesso Vietnam, intorno al tavolo, per giungere a un risultato concreto e duraturo, dovranno esserci Usa, Russia e Cina, e cioè, piaccia o meno, gli Imperi attuali. L’accordo passa attraverso la mediazione tra loro, tutti lo sanno, non verrà mai sancito tra Russia e Ucraina da sole, se non scrivendolo sulla sabbia. E anche le sue linee generali non possono realisticamente che essere le seguenti: riconoscimento pieno della sovranità ucraina e ritiro dell’esercito di invasione, parallelamente a un progressivo ritiro delle sanzioni e al riconoscimento delle repubbliche autonome di Crimea e del Donbass. Nessuna condizione può essere posta invece sulla politica di sicurezza che l’Ucraina vorrà decidere per sé. Uno Stato sovrano può chiedere di far parte delle alleanze che vuole, e questo sarà motivo di trattativa soltanto tra esso e gli altri Stati o gli altri organismi con cui vorrà stringere rapporti, di qualsiasi natura questi siano. Saranno Russia e Stati Uniti a definire, per loro conto e su altro tavolo, le proprie relazioni in merito a politiche militari e di sicurezza riguardanti in particolare la Nato e la sua azione. Tavolo al quale l’Ucraina non c’entra, come non c’entra la Russia a quello delle relazioni tra Ucraina e Unione europea. Questa è la linea per una pace che risulti dall’arte politico-diplomatica; l’altra sarà il risultato dell’arte della guerra. Si decida chi può – e cerchi di farlo al più presto e non sulla pelle degli altri».