L’osteria dei porte-coton

Beppe Grillo dichiara: “Non starò qui ad elencare le mille ragioni che fanno del Mes uno strumento non solo inadatto ma anche del tutto inutile per far fronte alle esigenze del nostro Paese in un momento così delicato. A farlo, ogni qualvolta gli viene messo un microfono sotto al naso, ci ha già pensato il nostro Presidente del Consiglio Conte dicendo più e più volte che ‘disponiamo già di tantissime risorse (fondi strutturali, scostamenti di bilancio, Recovery Fund ecc..) e dobbiamo saperle spendere’. Dunque non è una questione di soldi, che sembrano esserci, ma come e dove usarli”.

Molti anni fa ero componente di una commissione d’esame per l’assegnazione di borse lavoro al termine di un corso teorico-pratico di avviamento professionale. Un esaminando alla domanda in materia di redazione del bilancio societario rispose così: “Capirà se non lo so…”. E allora, se lo sa, lo dica. In realtà sbruffoneggiava per protesta, qualcosa sapeva ma non un granché.

Grillo, in fatto di Mes, come si dirà più avanti, dimostra una certa equivoca ignoranza, ma poi sbruffoneggia lanciando due proposte alternative al Mes. “La prima è di imporre “una patrimoniale ai super ricchi”: invece che sovraccaricare di tasse la classe media che sta lentamente scomparendo, procedere a tassare soltanto i patrimoni degli italiani più ricchi. Nel nostro Paese, secondo l’ultimo rapporto sulla ricchezza globale del Credit Suisse, ci sono 2.774 cittadini con un patrimonio personale superiore a 50 milioni di euro; se sommati, i loro patrimoni, ammonterebbero addirittura a circa 280 miliardi”.

Grillo si chiede: “Non sarebbe più equo, dunque, rivolgersi a loro piuttosto che al resto della popolazione già stremata da un anno tragico dal punto di vista finanziario, oltre che sanitario? Un contributo del 2% per i patrimoni che vanno dai 50 milioni di euro al miliardo genererebbe un’entrata per le casse dello Stato poco superiore ai 6 miliardi. Uno del 3% dato dai multimiliardari potrebbe fruttare circa 4 miliardi ulteriori. Una patrimoniale così concepita – conclude – significherebbe per le casse dello Stato un’entrata garantita di almeno 10 miliardi di euro per il primo anno, e di ulteriori 10 se la misura venisse confermata anche per il 2022”.

La seconda proposta è di far pagare l’Imu e l’Ici non versata sui beni immobili alla Chiesa. Si tratta per Grillo di “due proposte assolutamente praticabili, sacrosante e soprattutto non vincolanti (che non prevedono alcun tipo di indebitamento per l’Italia) che porterebbero un sacco di miliardi nelle casse dello Stato in poco tempo, semmai ce ne fosse bisogno. Se sommate, le due proposte, porterebbero nel biennio 2021/2022 all’incirca 25 miliardi di euro subito spendibili e liberi da vincoli di rientro”.

Mio padre non sopportava i faciloni, coloro che sono maestri nel fare i conti in casa degli altri, quelli del due più due uguale a cinque, e li bollava così: “Sì. I pàron coi che all’ostaria con un pcon ad gess in sima la tavla i metton a post tutt; po set ve a vedor a ca’ sova i n’en gnan bon ed far un o con un bicer…”. Sono sicuro che in questa categoria di economisti dal tramlòn inserirebbe di diritto anche Beppe Grillo con le sue roboanti sparate.

Innanzitutto Grillo mette a confronto le capre del Mes con i cavoli delle imposte patrimoniali. I fondi del Mes sono prestiti che dovrebbero aiutare gli Stati europei a far fronte ad esigenze straordinarie di liquidità. Le imposte patrimoniali sono soldi a fondo perduto che lo Stato incassa e che dovrebbero andare a quadrare il suo bilancio. L’accostare questi due discorsi ha un chiaro ed evidente intento populistico, vale a dire mettere insieme l’allergia verso l’Europa, discorso che tira sempre e comunque, alla solleticante smania di togliere ai ricchi per dare ai poveri facendo il verso a Robin Hood.

Il discorso di Grillo è teoricamente improponibile (non si possono confondere mele e pere), populisticamente ideologico (tartassare i ricchi: e chi sono i ricchi?), concretamente pressapochistico (si sparano cifre alla “abbasso il parroco”).

Non penso sia così facile individuare l’entità e la dislocazione dei super-patrimoni, molto spesso collocati nei paradisi fiscali, molto spesso annidati in un inestricabile ginepraio societario, molto spesso spalmati su soggetti fittizi o di comodo. I conti spannometrici improvvisati da Grillo assomigliano a quelli riconducibili alla fantasia della famosa ingenua contadinella in vena di progetti economici.

La povera Rosalina viveva nella più assoluta miseria in un paesino di campagna. Un giorno gli diedero in dono una bella ricottina: Rosalina la mise in un cestello e se ne andò al mercato. Lungo il cammino cominciò a fantasticare, facendo i suoi progetti: andrò al mercato, venderò la ricotta, con quei soldini comprerò delle uova che metterò sotto le chiocce e nasceranno i pulcini che diventeranno polli; venderò i polli e comprerò delle caprette che mi daranno i caprettini: io li venderò e comprerò una vitellina che diventerà mucca e mi darà il latte per fare tante ricottine. Diventerò ricca e la gente passando davanti alla mia bella casetta mi dirà: “Riverita signore Rosalina, riverita!”. Nel dir così la svampitella fece un profondo inchino e la ricotta andò a finire in mezzo alla strada.

Due parole infine sulle imposte da applicare al patrimonio della Chiesa cattolica. Sarebbe giustissimo, non solo giusto, che anche la Chiesa pagasse sui beni patrimoniali destinati ad attività commerciali. Ma anche qui viene il bello: molto spesso sono beni promiscuamente utilizzati per attività assistenziali e mercantili, molto spesso il legislatore non se la sente di “andare a rubare in chiesa”. D’altra parte se a Grillo interessa accarezzare la pancia al cittadino che fa politica al bar, a certi governanti piace dare una certa soddisfazione alle gerarchie vaticane ed ai cattolici che fanno politica in chiesa.

Vincenzo Cerami, alcuni anni or sono, in un gustosissimo pezzo su l’Unità, ha scritto: “Ai tempi di Luigi XIV c’era una classe di persone privilegiate che venivano chiamate “porte-coton”. Di chi si trattava? Di nobili che avevano il privilegio di pulire il culo del re con un batuffolo di bambagia dopo che questi aveva fatto la cacca”. È un privilegio che molti anche oggi si attribuiscono, con la variante costituita dal fatto che il re può essere anche il popolo stesso, in un gioco delle parti scombussolante avente come scopo l’accaparramento di voti.  Lo chiamano populismo. Però sempre di porte-coton si tratta.