Cardinale sì, ma solo un pochettino

“Eminenza” è un titolo d’onore spettante ai cardinali, decretato nel 1630 dal papa Urbano VIII. Papa Ratzinger si rivolgeva ad essi con un “signori cardinali”, quasi  volesse evitare di esagerare ed enfatizzare la loro dignità.  Il trattamento di “eccellenza” invece è di antica origine, adottato dalle consuetudini e convenzioni protocollari in campo amministrativo, giudiziario, politico-militare, religioso e nobiliare di numerosi paesi. Se non erro i vescovi sono da approcciare col titolo di eccellenza, sono cioè un gradino sotto nella scala gerarchica rispetto ai cardinali, che però possono anche non essere vescovi. Ammetto di voler “fare il furbino”, di voler menare il can per l’aia vaticana, ma comunque c’è da perdere la tramontana in questo saliscendi gerarchico, che di evangelico ha meno di niente.

E allora provo a buttarla sul ridere ricordando una gustosa barzelletta. Tra l’altro dicono piacesse molto a papa Giovanni Paolo ll. “Dio Padre osserva, con attenzione venata da una punta di scetticismo, l’attivismo dei cardinali di Santa Romana Chiesa, ma non riesce a capire fino in fondo lo scopo della loro missione. Con qualche preoccupazione decide di interpellare Dio Figlio in quanto, essendosi recato in terra, dovrebbe avere maggiore dimestichezza con questi importanti personaggi a capo della Chiesa da Lui fondata. Dio Figlio però non fornisce risposte plausibili, sa che sono vestiti con tonache di colore rosso porpora a significare l’impegno alla fedeltà fino a spargere il proprio sangue, constata la loro erudizione teologica, la loro capacità diplomatica, la loro abilità dialettica, ma il tutto non risulta troppo convincente e soprattutto rispondente alle indicazioni date ai discepoli prima di salire al cielo.  Anche Dio Figlio non è convinto e quindi, di comune accordo, decidono di acquisire il parere autorevole di Dio Spirito Santo, Lui che ha proprio il compito di sovrintendere alla Chiesa.  Di fronte alla domanda precisa anche la Terza Persona dimostra di non avere le idee chiare, di stare un po’ troppo sulle sue ed allora il Padre insiste esigendo elementi precisi di valutazione, minacciando un intervento diretto piuttosto brusco e doloroso. A quel punto lo Spirito Santo si vede costretto a dire la verità ed afferma: «Se devo essere sincero, anch’io non ho capito fino in fondo cosa facciano questi signori cardinali, sono in tanti, ostentano studio, predica e preghiera. Pregano soprattutto me affinché vada in loro soccorso quando devono prendere decisioni importanti. Io li ascolto, mi precipito, ma immancabilmente, quando arrivo col mio parere, devo curiosamente constatare che hanno già deciso tutto!»”.

Siccome le barzellette sono un po’ come le ciliegie, una tira l’altra, riporto anche quella, ancor più provocatoria e profonda, raccontata da don Andrea Gallo. «Voi sapete che nella nostra Santa Madre Chiesa, uno dei dogmi più importanti è la Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. L’amore e la comunione vanno in tutto il mondo, e si espandono. Lo Spirito Santo dice: “Andiamo a farci un giro. Io sono affascinato dall’Africa”.  Il Padre risponde: “Be’, io andrò a vedere il paradiso delle Seychelles. Perché non capisco come mai i miei figli e figlie hanno il paradiso in terra”. Gesù ascolta e non risponde. Allora gli altri due: “Tu non vai?” Gesù: “Io ci son già stato duemila anni fa”. “Non ci farai mica far la figura che noi andiamo e tu rimani”, gli dicono in coro il Padre e lo Spirito Santo. “Va be’, allora vado anch’io”. “Dove vai?” “A Roma”. “Sì, ma a Roma dove vai?” “Vado in Vaticano”. “In Vaticano?”, dicono increduli il Padre e lo Spirito Santo. Gesù risponde: “Eh sì, non ci sono mai stato”».

Questi ricordi mi servono a sfrondare di significato e portata il collegio cardinalizio recentemente implementato, una sorta di corte intorno al papa-re: Francesco si sta sforzando di dargli un senso ecclesiale e non burocratico, di riportarlo ad una riserva spirituale a cui attingere nel governo della Chiesa togliendolo dall’olimpo gerarchico e dal coacervo apicale di eminenze rosso-grigie, ma tutto resta in un anacronistico clima clerico-nobiliare che mi scatena un prurito allergico.

Quando il mio parroco don Domenico Magri fu trasferito in quel di Langhirano con i soliti metodi inaccettabili, quasi i sacerdoti fossero dei pacchi postali da mandare a destra e manca, mia sorella Lucia non seppe resistere alla tentazione di reagire in modo nettamente polemico rispetto al solito inaccettabile andazzo. Agli attacchi verso la Curia si sentì rispondere dall’allora potente vicario generale della diocesi: «Nella Chiesa non ci devono essere problemi di carriera…». «Sì certo, ma il caso vuole che lei abbia fatto carriera, mentre don Domenico lo avete spedito in fretta e furia a Langhirano a farsi il mazzo…». Rimanendo in tema riferisco come un’anziana donna ricordasse una frase che Lucia avrebbe detto in una riunione di sezione democristiana a Langhirano, subito dopo l’ingresso di don Magri quale parroco del paese: «Voglio tanto bene a don Domenico, che non riesco a trovargli neanche un difetto». Era il suo confidente sulle questioni più delicate della Chiesa di Parma, le forniva sempre uno spaccato positivamente critico delle vicende diocesane. Quando me ne riferiva, era solita concludere: «Meritava di fare il vescovo, e che vescovo sarebbe stato!». Purtroppo le nomine a vescovo (che hanno un senso pastorale) e ancor più a cardinale (che a mio giudizio non hanno alcun senso) sono calate dall’alto e subite pedissequamente dal popolo di Dio, che, come si suole dire, la deve bere da botte. Nella mia vita di cristiano non me la sono sentita di piegare il capo di fronte all’autorità gerarchica.

Padre Raniero Cantalamessa – non c’è bisogno di spiegare chi sia e quali siano i suoi meriti – è stato nominato cardinale. Mi risulta che in passato avesse educatamente rifiutato la nomina. Questa volta ha ceduto, a condizione di non essere vescovo e di restare cappuccino. Infatti da papa Francesco ha ottenuto la dispensa dall’ordinazione episcopale e così il predicatore della Casa pontificia potrà continuare a fare parte del suo Ordine religioso.

“Considero la mia nomina come un riconoscimento dell’importanza della Parola di Dio, più che della mia persona, dal momento che il mio servizio alla Chiesa è stato – e, per volere espresso di papa Francesco, continuerà ad essere ancora – quasi solo quello di proclamare la Parola, a partire dalla Casa pontificia. Vivo questa designazione a cardinale come un riconoscimento per il mio servizio alla Chiesa che è consistito unicamente nell’annuncio del Vangelo. La mia nomina simboleggia, in un certo senso, un attestato di quanto papa Bergoglio vuol dare dell’importanza di tenere alta la Parola di Dio nella Chiesa”.

Un modo intelligentissimo di smarcarsi dalla casta pur facendone parte. Padre Cantalamessa mi perdonerà anche perché ho di lui una stima ed un’ammirazione grandissime, ho letto tutti i suoi libri, ho seguito la sua attività di omileta, ho apprezzato ed apprezzo la sua capacità di coniugare Bibbia e mondo contemporaneo, di calare la tradizione nelle esigenze della modernità evangelica, di snocciolare la cultura in insegnamenti semplici ed accessibili a tutti, di collegare le più dotte citazioni alle più semplici testimonianze.  È un autentico fuoriclasse della predicazione! Mi chiedo però e gli chiedo: che senso ha accettare la nomina a cardinale e non quella a vescovo? che senso ha accogliere il “titolo nobiliare” di cardinale e prendere le distanze dal servizio pastorale di vescovo? che senso ha “oggettivizzare” la carica conferitagli per fare finta di rimanere un semplice frate? Il tutto sa tanto di excusatio non petita, di ammissione di colpa lieve facilmente perdonabile. Io sarò un inguaribile radicale, ma anche voler salvare capra e cavoli o, se volete, quadrare il cerchio del cardinalato col saio francescano… Con tutto il rispetto, mi sembra un po’ come quella ragazza che era sì incinta, ma solo un pochettino…