Tutto il virus minuto per minuto

Sembrava una soluzione sensata quella di articolare su tre fasce di pericolosità il territorio nazionale, assegnando ad ogni fascia le regioni più o meno a rischio Covid sulla base di parametri obiettivi in grado di misurare l’esposizione al contagio e la capacità di farvi fronte. Doveva essere il modo intelligente per affrontare una intricata questione, vale a dire, come sostiene Nicolò Bellanca su Micromega, per risolvere il trilemma della pandemia tenendo insieme salute pubblica, funzionamento dell’economia e qualità della vita sociale.

L’apprezzabile tentativo si sta purtroppo rivelando una pantomima: non si capisce più niente, si sovrappongono di continuo catalogazioni regionali, gli addetti ai lavori lasciano trapelare indiscrezioni, i media fanno previsioni allarmistiche, i dati vengono buttati come dadi, si è scatenato un vero e proprio totovirus. Zona gialla=vittoria interna=1; zona arancione=pareggio=x; zona rossa=vittoria esterna=2.

E tutti giocano la macabra e drammatica schedina. C’è l’arbitro delle partite che dovrebbe essere il ministro della Salute; il quarto uomo che dovrebbe essere l’Istituto Superiore di Sanità; il var interpretato dalla conferenza Stato-Regioni o roba del genere; c’è tutto il covid minuto per minuto con i media che aggiornano continuamente la situazione sul campo; c’è il pubblico spazientito e disorientato, che fischia comunque, protestando contro l’andamento del match, contro l’arbitro, gli allenatori, i giocatori, i massaggiatori e chi più ne ha più ne metta.

Dove finirà il Veneto? Dipende dal rigore del governatore, dalla solidità della difesa, vale a dire dal rispetto delle regole per il contenimento del contagio e per la cura dei contagiati, dalle folli ripartenze dei cittadini in cerca di evasione e di trasgressione. E tutti ad esercitarsi nelle previsioni che cambiano di giorno in giorno o addirittura di ora in ora.

Mi era parso di capire dalle parole del premier Conte che si giocassero queste tragiche partite ogni quattordici giorni in un campionato molto combattuto e assai poco spettacolare, invece si è sempre in campo e tutto può cambiare da un momento all’altro. Vista in positivo abbiamo la volontà di tenere aggiornata e graduata la situazione dello scontro con un avversario subdolo che colpisce di rimessa non appena ti rilassi o ti distrai; vista in negativo abbiamo la solita confusione di ruoli e di schemi tattici col rischio di subire una valanga di goal.

Non ho ancora capito se il tira e molla delle scelte a tavolino dipenda dalla incapacità a decidere e/o dalla paura di scegliere oppure se sia una strategia calcolata per operare un (dis)onorevole compromesso tra salute ed economia evitando le proteste sociali delle scatenate tifoserie oppure se sia, molto più semplicemente, un procedimento a tentoni, dando un colpo al cerchio e uno alla botte e sperando in Dio.

Fatto sta che il balletto prosegue e non si capisce dove si vada a parare. O meglio credo di avere capito: si vuole arrivare al lockdown totale e generale dopo avere sperimentato tutte le alternative, allargando le braccia nel senso di una resa alle cause di forza maggiore, preparandosi all’inevitabile peggio con il male dei passi intermedi. Prima le pillole, poi le dolorose e inevitabili iniezioni, per arrivare alle invasive operazioni chirurgiche. Col rischio che nel frattempo l’ammalato muoia: il medico pietoso (nel caso forse più incapace che compassionevole) fa la piaga puzzolente.

Una volta Renato, un caro amico di mio padre, la fece grossa. Volle architettare una presa per i fondelli per tutti gli ospiti del palco da lui gestito, in particolare per le eleganti signore snob presenti ad una importante serata di gala. Comprò una pattona e la fece guarnire da un pasticciere in modo tale che sembrasse una perfetta e invitante torta inzuppata con tanto di crema e panna. Durante l’intervallo la scartò e la offrì ai presenti che l’accolsero con esclamazioni di gradimento. La fece tagliare a fette dal solito chirurgo senza camice e cominciò a distribuirla su eleganti piattini con i relativi cucchiaini. Passarono pochi istanti, il tempo di assaggiare e si cominciò a sentire qualche signora che diceva all’amica: «Ma questa è pattona…». «Fammi assaggiare…, sì, questa è pattona…». Molti fecero finta di niente e mangiarono la pattona, altri la lasciarono nel piatto, chi conosceva bene Renato capì l’antifona e nel corridoio della quarta fila dei palchi si rise (o forse si pianse) per tutta la serata…e anche per quelle successive.