Quando la matematica (e la democrazia) diventa un’opinione

Non sono malato di patriottismo, non sono un fanatico di europeismo, ma forse mai come in questo momento mi sento orgogliosamente italiano ed europeo. Sto constatando infatti come l’orto d’oltre atlantico sia molto meno verde: lo vedo addirittura morto a causa di bruciature da concime.

L’assetto istituzionale statunitense è infatti assurdo. Gli Stati Uniti non sono mai stati così divisi e incasinati. La democrazia americana, che peraltro è sempre stata oggetto di contesa fra bande corporative al limite del criminale, è diventata un autentico circo in cui spadroneggia un inopinato clown. Dal punto di vista sociale sono incollati al razzismo al proprio interno e verso l’esterno. Un tempo tendevano ad intromettersi negli affari degli altri Paesi: la loro politica estera era quella dell’ingerenza. Oggi condizionano il mondo con il proprio egoismo nazionale fatto di muri, dazi, alleanze schizofreniche e negazioni dell’evidenza.

Se Cristoforo Colombo l’avesse immaginato non sarebbe partito, anche se lui non pensava di scoprire l’America e quindi non ha nessuna (?) colpa. Su questa paradossale torta è stata posta la ciliegiona delle elezioni in cui Donald Trump sta facendo la parte del bambino capriccioso, che, quando si accorge di perdere, scappa col pallone, mettendo unilateralmente fine al gioco. I dati elettorali a lui sfavorevoli sono truccati, il voto per posta non vale, la matematica è diventata un’opinione.

Passi il discorso strisciante del negazionismo Covid nascosto dietro il concetto della medicina che non è una scienza esatta, ma che la matematica non valga un accidente è una novità che ci insegna questo buffone a cui gli americani continuano a concedere attenzione e credibilità. La sua presidenza è tutta un trucco e non finisce di stupire: sempre più difficile, proprio come nei circhi, solo che, anziché gli acrobati, in quello trumpiano sono i clown a tenere tutti col fiato sospeso. Senza rete perché i disastri se li bevono gli altri.

Un quadro desolante complicato dal fatto che per contrastare la marcia di questo carro armato, che avanza abbattendo qualsiasi ostacolo usando qualsiasi mezzo, i cosiddetti democratici statunitensi hanno mandato allo sbaraglio un vero signore, ma un politico piuttosto debole. Golia/Trump è “alto sei cubiti e un palmo, con in testa un elmo di bronzo, rivestito di una corazza a piastre, il cui peso è di cinquemila sicli di bronzo. Porta alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle. L’asta della sua lancia è come un subbio di tessitori e la lama dell’asta pesa seicento sicli di ferro”. Davide/Biden corre prontamente al luogo del combattimento, caccia la mano nella bisaccia, ma non c’è nessuna pietra da lanciare, manca persino la fionda (in un certo senso meglio così, perché lo spettro di una guerra civile post-elettorale non è da escludere).

Non so come finirà il duello. Ho fatto il tifo per Biden, ma pensavo che avesse qualche idea pesante nella bisaccia e almeno uno straccio di carisma con cui spaventare l’avversario. Spero che, in caso di sua auspicabile vittoria, si riveli migliore come presidente che come candidato alla presidenza. E qualcuno continua a ripetermi testardamente che a noi “non ce ne può fregar di meno”, che se la vedranno gli americani, che per noi tanto non cambia niente. A volte mi viene persino il dubbio che abbiano ragione, poi penso a tutti i miei insegnanti di educazione civica, ai maestri di politica vera, a quanti sono morti (anche negli Usa) per la democrazia e la giustizia, e mi vergogno come un ladro di storia e come un cane che fruga nei rifiuti.

Sono andato a rileggermi quanto ha scritto Carlo Bastasin su La Repubblica: “Tuttora per definire i rapporti tra Europa e Stati Uniti si usano i riferimenti del dopoguerra: cooperazione strategico-militare e scambi commerciali. Nel primo caso Trump sembrava avere rotto una storia di 70 anni minacciando di lasciare la Nato. A inizio 2020 le istituzioni europee avevano invocato la propria autonomia strategica e promesso una visione politica globale. In realtà, quasi tutti i leader europei aspettavano soprattutto di veder passare l’eccezione -Trump per tornare al vecchio mondo. Una nuova assertività europea è evidente nelle vicende di Bielorussia, Ucraina, Turchia e nelle critiche alla Cina per la crisi di Hong Kong. Sanzioni sono state imposte a Russia, Cina e Nord Corea per le interferenze nella sicurezza digitale e a Mosca ora anche per il caso Navalnyj. Ma nei fatti non molto è successo per rafforzare la capacità strategica europea, per la quale l’Europa spera ancora nell’ombrello americano. Biden d’altronde ha definito l’Europa «il primo e indispensabile partner». Con un nuovo presidente il distacco atlantico potrebbe dunque ridursi”. Così dovrebbe essere anche per gli scambi economici (guerra dei dazi, governo dell’economia globale), per l’ambiente, per l’agenda digitale, per la crisi sanitaria, per le spinte sovraniste, etc. etc.

Non mi resta che aspettare e sperare che Davide prevalga a dispetto di Golia. Non riesco a rimanere indifferente. C’è in gioco l’avvenire globale e vorrei tanto potermi sentire, oltre che italiano ed europeo, un cittadino del mondo.