Non è tutto oro quel che luccica nel “pibe de oro”

Ero alla fermata di un autobus ed attendevo con la solita impazienza l’arrivo del mezzo pubblico; accanto a me stavano un giovane padre assieme a suo figlio bambino, ma non troppo. Sfogliavano un giornale sportivo e leggevano i titoloni: il più eclatante diceva della pesante squalifica comminata a Maradona per uso di sostanze stupefacenti. Si, il grande Maradona beccato con le dita nella marmellata. Il bambino ovviamente reagì sottolineando la gravità della sanzione ed espresse, seppure un po’ nascostamente, il suo rincrescimento per l’accaduto. Qui viene il pezzo forte, la reazione del padre che vomitò (non so usare un verbo migliore): “Capirai quanto interesserà a Maradona con tutti i soldi che ha!!!” Il bambino non replicò e l’argomento purtroppo si chiuse così. Non so ancora darmi ragione del mio silenzio, ma forse fu dovuto al fatto che una bestialità simile non me la sarei mai aspettata da un padre: ci fosse stato “mio padre” non avrebbe taciuto. In poche parole quel signore aveva lanciato un messaggio negativo, diseducativo all’ennesima potenza. Era come dire al proprio figlio: “Ragazzo mio, nella vita conta solo il denaro, delle regole te ne puoi fare un baffo, della correttezza fregatene altamente”. Arrivò finalmente l’autobus, il tutto finì lì, ma ringraziai mio padre perché non ragionava così.

Comincia così, in netta controtendenza il mio omaggio/ricordo dedicato a Diego Armando Maradona. Nei i soliti scontati e stucchevoli panegirici giornalistici e nelle penose e sbracate reazioni post-mortem dei tifosi c’è un concetto, più o meno dichiarato, che funziona da leitmotiv: non si può fare distinzione fra l’artista del pallone e l’uomo. È una presuntuosa “excusatio non petita”: solo Dio non ci fa e non ci farà a fette, ci prende, ci prenderà e ci salverà per quello che siamo. Noi però non siamo Dio e abbiamo il dovere non tanto di giudicare, ma di accettare gli atti del nostro prossimo, in vita e dopo la morte, senza sbrigative commistioni tra arte ed etica, che rischiano di sminuire entrambe le facce della medaglia e di fare solo confusione nell’ansia di approntare le false e sontuose lapidi del caso.

Se non fossimo in grado di distinguere fra le opere d’arte e le contraddizioni nella vita dell’artista, dovremmo gettare nella spazzatura  (quasi) tutta l’espressine artistica o dovremmo ridurre “il buono” a controfigura del “bello”, tornando   alla “kalokagathia”, che rappresenta la concezione greca del bene connessa all’azione dell’uomo e che sostiene che vi sia una complementarità tra “bello” e “buono”: ciò che è bello non può non essere buono e ciò che è buono è necessariamente bello.

Maradona era, a suo modo, un artista, che incarnava, con un pizzico aggiuntivo di originale simpatia, la famosa espressione letteraria “genio e sregolatezza”, con la quale si vuole associare la genialità, specialmente artistica, con abitudini di vita stravaganti e disordinate. Ciò non significa sorvolare sulla sregolatezza, che non deve essere bypassata in nome del genio, il quale a sua volta non ha bisogno di questo confuso mixaggio. Se si vuole dire che la sregolatezza mentale di Maradona era comunque condita, a livello di cuore, da una notevole e ammirevole dose di generosità (in campo e fuori dal campo), è giusto ammetterlo e considerarlo. D’altra parte non si dice che “tutti i matti hanno le loro virtù”?

Un mio carissimo amico, sofferente dal punto di vista psichiatrico, mi raccontò, con ovvio sollievo dialettico, di come un altro comune amico avesse sdrammatizzato il suo allarmistico convincimento di essere sprofondato nel gorgo della schizofrenia, con una lieve battuta: «Non preoccuparti, siamo tutti un po’ schizofrenici…». Questa pietosa bugia ci serve anche a scoprire che sotto-sotto (forse) non siamo cattivi. Il discorso vale, a maggior ragione per chi, come Maradona, ha il merito di aver fatto della propria “arte creativa” un dono elargibile agli altri, un’occasione di divertimento per tutti nel partecipare alla competizione sportiva di altissimo livello qualitativo. Concentriamoci quindi in modo equilibrato sulla genialità del calciatore e lasciamo perdere giudizi strumentalmente assolutori sull’uomo: è il migliore servizio che possiamo rendere alla memoria del “pibe de oro”.