La guerra è un errore che crea orrore

Esecuzioni sommarie, prigionieri uccisi per riti di iniziazione, bambini trucidati nelle proprie case, civili fatti fuori per liberare spazio sull’elicottero: sono solo alcuni dei reati raccapriccianti di cui si sono macchiate le forze speciali d’élite delle forze armate australiane (Adf, Australian Defence Force) durante i loro anni di attività in Afghanistan.

Il tutto emerge nero su bianco in un rapporto di 465 pagine di orrori, risultato di un’indagine durata anni (con la revisione di 20 mila documenti e 25 mila immagini e l’audizione di 423 testimoni) dove viene testimoniata l’uccisione illegale di almeno 39 civili e che fa piombare nella vergogna non solo l’esercito dell’Australia ma l’intero Paese. Per primo il premier, Scott Morrison, che ha già telefonato al presidente afghano, Ashraf Ghani, per esprimere “il suo più profondo dolore per la cattiva condotta” dei militari. Ora quelle carte sono in mano al procuratore speciale che indagherà per crimini di guerra. 

“Il vergognoso registro include presunti casi in cui nuovi membri della pattuglia sono stati costretti a sparare a un prigioniero per guadagnarsi la loro prima uccisione”, conferma il generale Angus Campbell, capo delle Forze di difesa australiane.  I soldati tenevano un macabro “conteggio dei morti per una competizione interna” e coprivano le uccisioni illegali organizzando schermaglie, posizionando armi vicino ai cadaveri e aggiungendo nomi (delle vittime innocenti) alle liste degli obiettivi.     

Dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, più di 26 mila soldati australiani furono mandati in Afghanistan per combattere a fianco delle forze alleate e statunitensi contro i talebani, Al-Qaeda e altri gruppi islamisti.  Le truppe da combattimento australiane hanno ufficialmente lasciato il Paese nel 2013, ma da allora è emersa una serie di resoconti spesso brutali sulla condotta delle unità delle forze speciali d’élite. 

Ho ripreso testualmente alcuni passaggi da un resoconto dell’Agenzia Italia. È giusto inorridire di fronte a questi eventi agghiaccianti: è una reazione emotivamente spontanea, ma razionalmente ipocrita. Infatti non c’è guerra che non abbia comportato episodi di violenza feroce ed ingiustificata, violenza chiama violenza in una inevitabile escalation.

Ricordo l’accesa discussione che ebbi tanti anni fa con un amico che giustificava convintamente lo scoppio della prima guerra del golfo quale reazione difensiva rispetto all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein.  Quel conflitto oppose appunto l’Iraq ad una coalizione composta da 35 stati formatasi sotto l’egida dell’ONU e guidata dagli Stati Uniti, che si proponeva di restaurare la sovranità del piccolo emirato del Kuwait, dopo che questo era stato invaso e annesso dall’Iraq. Questo mio amico faceva un azzardato parallelo con la guerra contro la Germania di Hitler per teorizzare la cosiddetta guerra giusta.

La mia tesi era ed è anche oggi quella di ritenere sempre e comunque la guerra come un errore madornale. Anche sul piano diplomatico la reazione contro la Germania di Hitler ed i suoi alleati fra cui l’Italia era stata tardiva e piena di errori: non si possono sottovalutare certe situazioni abnormi, magari voltandosi dall’altra parte, magari accontentandosi di rapporti dettati dalla realpolitik, per poi intervenire a gamba tesa. Non sono uno storico, ma le poche nozioni in mio possesso mi portano a sostenere che il nazismo si doveva e poteva combattere a tempo debito senza arrivare a scatenare un conflitto mondiale.

Ma la vera risposta all’equivoco discorso della guerra difensiva non è certo la mia. Riprendo di seguito al riguardo alcuni passaggi dell’enciclica di papa Francesco “Fratelli tutti”. Mi sono ripromesso infatti di centellinarla in contemporanea con gli eventi che la storia attuale ci mette davanti e che ci interrogano tragicamente. Il modo migliore per non relegarla nell’etica astratta da smontare nel salotto del neoliberismo, ma per farne un concreto e positivo riferimento nelle scelte individuali e collettive.

È così che facilmente si opta per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione. Di fatto, negli ultimi decenni tutte le guerre hanno preteso di avere una “giustificazione”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare, con il presupposto di dimostrare che vi siano alcune «rigorose condizioni di legittimità morale». Tuttavia si cade facilmente in una interpretazione troppo larga di questo possibile diritto. Così si vogliono giustificare indebitamente anche attacchi “preventivi” o azioni belliche che difficilmente non trascinano «mali e disordini più gravi del male da eliminare». La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. In verità, «mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene». Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!

È importante aggiungere che, con lo sviluppo della globalizzazione, ciò che può apparire come una soluzione immediata o pratica per una determinata regione, dà adito a una catena di fattori violenti molte volte sotterranei che finisce per colpire l’intero pianeta e aprire la strada a nuove e peggiori guerre future. Nel nostro mondo ormai non ci sono solo “pezzi” di guerra in un Paese o nell’altro, ma si vive una “guerra mondiale a pezzi”, perché le sorti dei Paesi sono tra loro fortemente connesse nello scenario mondiale.

Come diceva San Giovanni XXIII, «riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». Lo affermava in un periodo di forte tensione internazionale, e così diede voce al grande anelito alla pace che si diffondeva ai tempi della guerra fredda. Rafforzò la convinzione che le ragioni della pace sono più forti di ogni calcolo di interessi particolari e di ogni fiducia posta nell’uso delle armi. Però non si colsero pienamente le occasioni offerte dalla fine della guerra fredda, per la mancanza di una visione del futuro e di una consapevolezza condivisa circa il nostro destino comune. Invece si cedette alla ricerca di interessi particolari senza farsi carico del bene comune universale. Così si è fatto di nuovo strada l’ingannevole fantasma della guerra.

Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime. Prestiamo attenzione ai profughi, a quanti hanno subito le radiazioni atomiche o gli attacchi chimici, alle donne che hanno perso i figli, ai bambini mutilati o privati della loro infanzia. Consideriamo la verità di queste vittime della violenza, guardiamo la realtà coi loro occhi e ascoltiamo i loro racconti col cuore aperto. Così potremo riconoscere l’abisso del male nel cuore della guerra e non ci turberà il fatto che ci trattino come ingenui perché abbiamo scelto la pace.