La commedia/tragedia degli equivoci

L’overdose a livello di informazione (?) sulla pandemia, oltre che provocare più disagio psicologico che attenzione etica e civica, rischia di distrarci colpevolmente dal contesto mondiale problematico entro cui la pandemia stessa si inquadra. Non è che il covid 19 abbia cancellato le altre questioni per obbligarci a pensare alla salute e all’economia in crisi, ma ci manda un messaggio di globalità problematica entro cui dobbiamo pensare, ragionare e vivere.

Alla intera realtà ci richiama la catena di attentati terroristici di matrice islamica susseguitisi in Francia ed Austria, legati anche al discorso migratorio gestito in modo approssimativo. Il fatto che un attentatore fosse sbarcato a Lampedusa o in qualche altra località europea, proveniente dalla Tunisia o da qualche altro Paese di religione islamica, non cambia di molto il problema, anzi rischia di fuorviare il discorso sulle ali del solito illusionistico pretesto della chiusura dei porti e del rimpatrio dei soggetti che andrebbero diversamente poi a zonzo per le vie europee a tagliare gole qua e là.

Il problema migratorio va comunque affrontato con spirito programmatico e gestito con oculatezza a prescindere dal covid. Non lo stiamo facendo: preferiamo ignorare il fenomeno, mettendolo magari nel mirino più o meno razzistico di chi vuol fare cagnara e non aspetta altro che l’attentato per riproporre la cosiddetta linea dura, vale a dire l’impossibile oltre che ingiusto paradigma del “basta, tutti a casa loro”. Tra i migranti c’è sicuramente chi è vocato pregiudizialmente alla delinquenza e chi approfitta per sfogare la rabbia razzista contro l’Occidente di cui la Francia è storicamente e culturalmente uno degli avamposti più appetibili.

La Francia sintetizza in se stessa tutti i valori positivi della nostra cultura e del nostro sistema, ma aggiunge nel pentolone anche tutti gli errori storici commessi nei confronti dei Paesi arabi ed africani. È inutile e disonesto nasconderlo: mentre giustamente piangiamo le vittime dell’insensato e tremendo odio dei terroristi, dobbiamo ammettere le colpe accumulate nel tempo a livello degli equilibri internazionali, che stanno alla base di assetti insostenibili e tenuti assieme con lo scotch degli interessi petroliferi.

C’è poi il delicato rapporto fra la libertà di stampa e di espressione e il rispetto dei principi e delle sensibilità di tutte le religioni, islamismo compreso. C’è proprio bisogno, per affermare le nostre irrinunciabili libertà, di andare a disturbare con pesanti affondi satirici la suscettibilità, più o meno strumentale, dei sedicenti credenti nel corano e dei sedicenti seguaci di Maometto. So benissimo che i terroristi e i loro sostenitori non hanno niente di religioso, ma dobbiamo togliere ad essi ogni e qualsiasi pretestuoso aggancio con il brodo di coltura islamico, così come gli islamici veraci devono tagliare ogni e qualsiasi ponte con i terroristi ed il terrorismo (cosa su cui mi permetto di nutrire qualche dubbio).

Occorre sgombrare il campo dagli equivoci di cui è impastato il rapporto con l’Islam: ammetto che invece aumentano le perplessità verso la teoria e la prassi di questo movimento. Si va dalle disposizioni coraniche che, come minimo, si prestano a notevoli storture interpretative ed applicative ai comportamenti di certi imam che si tolgono le scarpe per pregare, ma che culturalmente e tatticamente tengono i piedi in due paia di scarpe (l’Islam non violento e quello terrorista).

Dietro il macabro paravento del terrorismo si recita e si celebra appunto la commedia degli equivoci. Si va dalla disponibilità al dialogo al rifiuto delle regole di convivenza civile dei paesi ospitanti. Da parte nostra rispondiamo con una formale apertura che nasconde una sostanziale intolleranza ed una profonda diffidenza. Sembra di essere allo stadio dove i giocatori combattono e gli spettatori fanno finta di essere fuori dal gioco sporco, ma in realtà tifano a più non posso.

Ebbene, tifo a parte, l’asimmetrico scontro culturale rischia effettivamente di trasformarsi in profonda ed insanabile incomprensione con tutte le conseguenze del caso. Indubbiamente pesa la secolarizzazione occidentale: una “giusta” laicità che sta progressivamente involvendo “nell’ingiusto” categorico e strisciante rifiuto della dimensione religiosa della vita. Ma pesa anche (e quanto pesa!) la “giusta” considerazione della fede che si è storicamente sempre più incarnata nella fanatizzazione religiosa dell’Islam.  Se non si fa un passo indietro da entrambe le parti, il dialogo, al di là delle solidarietà contingenti e di maniera, rimane sostanzialmente impossibile. Credo però sia, tutto sommato, relativamente più facile per gli occidentali recuperare il rispetto per la fede, che non per gli islamici riportare la religione nel suo alveo, che poi è quello della fede senza “giuste cause” e senza orribili integralismi. Certo dobbiamo tutti deporre le armi offensive (lotta agli infedeli) e difensive (intolleranza verso l’Islam) della paura (del diverso culturalmente e religiosamente parlando), togliendo di mezzo ogni e qualsiasi pretesto teologico, culturale, religioso e sociale.