Il vizio evangelico della povertà

Se vado al dunque della solidarietà così come intesa nella mia famiglia di origine, se torno ai fondamentali della mia educazione, devo riferirmi alla regola d’oro di mio padre: “S’a t’ tén il man sarädi a ne t’ cäga in man gnan’ ‘na mòsca”. Papà non era papa, ma la sapeva lunga. Volete la dimostrazione? Ecco di seguito cosa scrive e dice papa Francesco nel suo messaggio in occasione della IV Giornata Mondiale dei Poveri.

“Tendi la mano al povero” fa risaltare, per contrasto, l’atteggiamento di quanti tengono le mani in tasca e non si lasciano commuovere dalla povertà, di cui spesso sono anch’essi complici. L’indifferenza e il cinismo sono il loro cibo quotidiano. Che differenza rispetto alle mani generose che abbiamo descritto! Ci sono, infatti, mani tese per sfiorare velocemente la tastiera di un computer e spostare somme di denaro da una parte all’altra del mondo, decretando la ricchezza di ristrette oligarchie e la miseria di moltitudini o il fallimento di intere nazioni. Ci sono mani tese ad accumulare denaro con la vendita di armi che altre mani, anche di bambini, useranno per seminare morte e povertà. Ci sono mani tese che nell’ombra scambiano dosi di morte per arricchirsi e vivere nel lusso e nella sregolatezza effimera. Ci sono mani tese che sottobanco scambiano favori illegali per un guadagno facile e corrotto. E ci sono anche mani tese che nel perbenismo ipocrita stabiliscono leggi che loro stessi non osservano.

Viene spontaneo porre due obiezioni. La prima: celebrare questa giornata può servire a tacitare le coscienze lasciando immutata la situazione. Se a creare il mondo, come sostiene la Bibbia, sono stati necessari ben sette giorni, figuriamoci se un giorno basterà a risolvere il problema della povertà nel mondo.  Parlare di povertà è facile, praticarla un po’ meno, anche per la Chiesa. L’affarismo che in essa alberga suona scandaloso nei confronti dei poveri. Basta riformare le strutture vaticane che dovrebbero amministrare con sobrietà e giustizia i beni ecclesiastici o bisogna rinunciare a questi beni spogliandosi evangelicamente di ogni e qualsiasi orpello economico-finanziario? La Chiesa istituzione ha le sue necessità, ma fin dove queste necessità non diventano alibi per coltivare affari evangelicamente inopportuni e addirittura legalmente illeciti? E certi comportamenti di altolocati uomini di Chiesa non fanno a pugni con l’imperativo dell’attenzione ai poveri e con la fedeltà allo spirito delle Beatitudini?

Alcuni Padri del Concilio Vaticano II assunsero un preciso impegno: «Nel nostro modo di comportarci, nelle nostre relazioni sociali, eviteremo ciò che può procurarci privilegi, precedenze o anche di dare una qualsiasi preferenza ai ricchi e ai potenti». Un consistente gruppo di vescovi, col cosiddetto Patto delle Catacombe a latere del Concilio, furono ancora più chiari e dettagliati: «Noi vescovi rinunziamo per sempre all’apparenza e alla realtà della ricchezza, specialmente nelle vesti (stoffe di pregio, colori vistosi) e nelle insegne di metalli preziosi (questi segni devono essere effettivamente evangelici)». Ho l’impressione che la gerarchia e il clero in generale lasci parlare bene i santi e continui a scherzare coi fanti imitandoli a più non posso o, se volete, nasconda dietro il parlar bene di alcuni il razzolar male di altri (troppi!).

La seconda obiezione è di carattere sociologico e macro-economico: il sistema capitalistico è una macchina schiacciasassi che non consente deroghe alla logica del profitto a tutti i costi. Ha un bel dire il papa: non è quindi velleitaria la rivoluzione per l’economia ipotizzata nella recente enciclica Fratelli tutti? Come si chiede acutamente il mensile paolino Jesus, il dogma neoliberista è finito? È pur vero che la pandemia ha definitivamente messo a nudo le contraddizioni dell’economia di mercato quando agisce senza regole, ma nel nuovo “disordine mondiale” un cambio di rotta non sembra essere tra le priorità (quasi) di nessuno.

Papa Francesco risponde a tono: “È vero, la Chiesa non ha soluzioni complessive da proporre, ma offre, con la grazia di Cristo, la sua testimonianza e gesti di condivisione. Essa, inoltre, si sente in dovere di presentare le istanze di quanti non hanno il necessario per vivere. Ricordare a tutti il grande valore del bene comune è per il popolo cristiano un impegno di vita, che si attua nel tentativo di non dimenticare nessuno di coloro la cui umanità è violata nei bisogni fondamentali”.

Diceva il vescovo dei poveri Helder Camara: «Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista». Monsignor Oscar Romero, vescovo del Salvador, sosteneva: «Non è amore voler nascondere con l’elemosina ciò che si deve per giustizia». Non è un caso che l’enciclica papale abbia urtato la suscettibilità dei liberisti ad oltranza e non è una novità che papa Francesco venga considerato ed osteggiato da certi ambienti interni ed esterni alla Chiesa come un pericoloso eretico, comunista e pauperista vestito di bianco. Lui risponde così a chi l’accusa: «I comunisti ci hanno rubato questa bandiera, ma i poveri sono al centro del Vangelo».

Il problema dei poveri e della povertà dentro e fuori della Chiesa rimane aperto. C’è di che discutere, ma soprattutto ci sarebbe di che fare a livello dei singoli e delle comunità. A proposito di comunità, quella di Santa Cristina, guidata da don Luciano Scaccaglia, metteva in bocca a Gesù queste parole: «Io ho curato molti malati, molte bambine, molti lebbrosi, ma non tutti; ho accolto molti stranieri, ma non tutti; non ho avuto il tempo, a 33 anni mi hanno ucciso perché stavo dalla parte dei poveri; ora tocca a voi, ragazzi, a voi adulti. Siate ospitali con tutti; se potete, cercate casa e lavoro per chi non ce li ha. Voi conoscete la mia predilezione per i più deboli, sia anche la vostra».

Sono partito con la regola di mio padre e termino con un’altra regola di fonte famigliare. Luciano Scaccaglia, il mio amico “pretaccio”, amava ricordare un forte ed irrinunciabile insegnamento materno, di quelli che, anche volendo, non si possono dimenticare e tanto meno tradire: «Se nella vita non vuoi sbagliare, stai dalla parte dei poveri».