Il covid pieno e la società ubriaca

Durante un convegno di carattere politico ero seduto fra i partecipanti vicino ad un caro amico a cui certo non faceva difetto la vis polemica. Il dibattito si trascinava stancamente, mancava l’acuto: chi meglio del mio amico poteva risvegliare la platea? Lo convinsi ad intervenire e lo caricai a dovere, invitandolo a “tirare giù senza pietà”. Mi diede retta, lo fece al di là delle mie più rosee aspettative: salì al podio e cominciò ad attaccare con una tal veemenza e soprattutto con una tal genericità da irritare alquanto l’uditorio. Fin qui, missione compiuta. Il bello fu che ad un certo punto, quasi automaticamente, anch’io mi sentii costretto a contestarlo apertamente, gridandogli di smetterla e di andarsene a casa. Lui dal podio mi guardava e non capiva: proprio io che lo avevo aizzato, ora lo attaccavo clamorosamente. Ci volle del bello e del buono per ripristinare l’amicizia, solo la sua innata bontà riuscì a superare l’incidente di percorso.

Questo aneddoto, più volte rammentato, mi consente di introdurre in modo eloquente e leggero la triste realtà del dibattito sulle problematiche Covid, che sta diventando sempre più irritante e stucchevole: è una contraddizione continua. Le sacrosante critiche vengono squalificate dalle incoerenze dei critici. A chi governa viene chiesto tutto e il suo contrario, finendo così con l’assolvere, nel polverone sollevato, i peccati, talora mortali, di chi ha gestito e sta gestendo l’emergenza e programmando il dopo-pandemia.

Non riesco più a seguire le discussioni televisive, anche le più serie, impantanate in questo gioco della botte piena e della moglie ubriaca. Faccio alcuni esempi. Da una parte si sostiene che il governo abbia sottovalutato durante l’estate la quasi certezza di una seconda ondata pandemica, facendo saltare gli argini del contenimento e  non predisponendo, nei limiti del possibile, quanto poteva servire a farvi fronte: strutture ospedaliere, terapie intensive, personale sanitario, trasporti pubblici, controlli seri, monitoraggi adeguati, screening allargati se non di massa, vaccini anti-influenzali, etc. etc. Dall’altra parte gli si chiede di ripetere la leggerezza estiva allentando le misure restrittive ed abbassando la guardia in vista dell’affaire natalizio: un natale austero sarebbe infatti un disastro per l’importante filiera agro-alimentare del Paese. Ci si dimentica che esiste un’altra probabile filiera assai più tragica ed irrecuperabile, quella dell’ammalarsi, di entrare in ospedale, di essere ricoverati in terapia intensiva e di morire soli come cani.

Tante reprimende per la scriteriata apertura estiva delle discoteche (per la quale si batterono certe Regioni, che magari oggi si nascondono dietro i borbottii per le zone rosse, arancioni e gialle); oggi si chiede l’apertura degli impianti sciistici e delle strutture turistico-alberghiere ad essa collegate. Forse ci stiamo affidando solo al buon Dio, speriamo nell’aiuto del cielo senza aiutarci fra di noi. Preghiamo con questo blasfemo incipit: “Il Signore scia con voi”.

Molte critiche per i ritardi nell’adozione di misure drastiche per il contenimento della seconda ondata virale per poi lamentarsi e protestare per le chiusure che vanno inevitabilmente a danneggiare l’economia: tutti si scandalizzavano per gli assembramenti circostanti bar e ristoranti ed ora si vorrebbe riaprire i locali pubblici per dare sfogo alla verve festaiola natalizia e di fine anno.

C’è poco da fare, la coperta anti-covid è corta, se la tiriamo sulla difesa della salute scopriamo l’andamento economico e viceversa. Bisogna scommettere sul miracolo di trovare un compromesso fra queste due esigenze paradossalmente contrastanti. Riaprire in sicurezza mi sembra una pia illusione: le misure restrittive stanno funzionando, ma gli ammalati continuano a morire. Figuriamoci se si provasse ad aprire le porte: succederebbe come la scorsa estate, liberi tutti e chi muore si arrangi.

Se il presidente del Consiglio azzarda un’ipotesi di aperture ragionate e pilotate con prudenza, qualcuno gli fa clamorosamente presente che i commercianti e i ristoratori hanno bisogno di sapere per tempo se e quando potranno svolgere la loro attività. E allora? Apriamo al buio salvo poi lamentarci se arriverà una terza probabile ondata nel prossimo gennaio.

La riapertura delle scuole era auspicata da tutti (personalmente nutrivo qualche perplessità, ma ero sepolto sotto la valanga degli improvvisati difensori della imprescindibile educazione scolastica), salvo programmarla in modo demenziale per poi correre ai ripari chiudendo le porte più critiche quando i buoi erano scappati. Adesso si ricomincia il giro di valzer: la ministra, anche sulla spinta delle proteste di studenti e loro famigliari, spinge per la riapertura, ma non mi risulta che il problema fondamentale dei trasporti sia stato adeguatamente affrontato e, almeno in parte, risolto.  Forse stiamo parlando a vanvera adottando un macabro gioco dell’oca in cui torniamo sempre daccapo e perdiamo sistematicamente.

In una situazione caratterizzata da drammatiche incertezze esigiamo prospettive sicure, finendo col trascinare chi governa in ulteriore confusione, aggiuntiva rispetto a quella combinata in proprio. Diamoci una calmata, perché altrimenti le cose finiranno molto peggio di quanto si possa immaginare. Peggio di così, si dirà… Al peggio non c’è limite!