Anche il cuore degli sfigati batte a sinistra

Per Donald Trump la pandemia da covid 19 sarebbe stata la buccia di banana su cui è scivolato goffamente o comunque la goccia che ha fatto traboccare il suo vaso dell’antipolitica. Può essere vero anche se è pur vero che “tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino”. Governare a prescindere dai problemi, o meglio affrontando i problemi di pancia, ad un certo punto, quando anche la pancia è piena di problemi, non resta altro da fare che cancellare i problemi. Trump con il coronavirus dilagante ha fatto così: ha provato ad ignorarlo, ma la gente se ne è accorta sulla propria pelle e quindi si è svegliata dal sonno dell’anestesia populista.

Interessante è l’approfondimento fatto al riguardo da Massimo D’Alema: il covid ha riportato la politica ai valori di fondo, vale a dire la difesa della vita, la sanità garantita dallo Stato, il senso comunitario e solidale, la necessità che l’economia venga guidata e non abbandonata a se stessa. Sotto i colpi della pandemia sono crollati i presupposti del trumpismo. Dopo aver negato l’esistenza del virus, a Trump non resta che provare paradossalmente a negare l’evidente sconfitta elettorale.

Si profilano due tendenze culturali: una ritiene che il populismo in tutto il mondo, Italia compresa, stia prendendo una bella botta politica dalla insistente e invadente pandemia; un’altra che pensa ad un lockdown politico, una pausa pandemica al di là della quale rispunteranno puntualmente certe idee e certe visioni basate sull’egoismo individuale e collettivo. Gli uni insistono ingenuamente col “niente sarà come prima”; gli altri sdrammatizzano l’evento considerandolo un mero “mortus” imposto al gioco, che tuttavia col tempo riprenderà come se niente “fudesse”, o meglio riuscirà a metabolizzare anche il coronavirus riportandolo a tragico incidente di percorso.

Continuo a rifarmi all’acuta analisi di Massimo D’Alema (c’è poco da fare, la classe non è acqua), che legge le elezioni americane con gli occhiali del partito democratico statunitense, ma anche con la lente delle prospettive strategiche della sinistra in generale. Il ritorno obbligato della gente ai valori mette in crisi anche la sinistra, scoprendo gli altarini della sua attuale incapacità di saldare gli “istinti” popolari alle teorizzazioni elitarie: i grandi partiti popolari avevano questo ruolo, mentre oggi non riescono più a svolgerlo e quindi rischiano di “regalare” le difficoltà del popolo alla reazione della destra estrema ammantata di populismo.

È successo negli Usa con Trump che è riuscito a conquistare il voto degli “sfigati”: dei senza lavoro a cui ha promesso una facile occupazione difendendoli dalle intromissioni degli immigrati, degli angosciati dalla paura a cui ha consentito di difendersi con la violenza delle armi, dei poveri bianchi a cui accarezzare la pancia razzista ancestralmente ostile ai poveri afroamericani, dei cattolici alla ricerca di identità poco evangelica e molto politica,  agli insicuri ed ai precari proponendo loro una sicurezza fatta di muri, di dazi e di polizia. È successo in Italia con Matteo Salvini che è riuscito a conquistare il voto di certe fasce di classe operaia frustrata dalle difficoltà economiche di una crisi pressoché permanente, persino di certe fasce di gente meridionale stanca delle promesse della politica e propensa a provare le chimere dell’antipolitica. Nel nostro Paese però la Lega di Salvini ha trovato un duro ostacolo in questa strategia populista nel movimento cinque stelle, al punto da provare con esso un patto di non belligeranza, che è miseramente e sveltamente fallito.

È successo a livello geopolitico all’Europa intera, tendente a chiudersi nelle sue stanze tecnocratiche e burocratiche, mentre la gente non vede e non sente più il richiamo della foresta democratica, abbagliata dagli interpreti nostrani del populismo di Putin e di Trump (i ladri di Pisa), condizionata dall’invadenza economica cinese con cui fare i conti tramite nuove e imbarazzanti “vie della seta”.

Se è vero che le elezioni americane le abbia vinte non tanto Joe Biden, ma il partito democratico, novello interprete dei valori riscoperti dalla pandemia, l’Europa riuscirà a trovare la giusta sponda statunitense per rimettere insieme i cocci degli squilibri internazionali procurati dal trumpismo? I partiti della sinistra riusciranno a imparare che i voti non si prendono nel centro moderato e liberista ad oltranza, ma coniugando i valori con la necessità di rivedere i meccanismi di un sistema capitalistico fondato sugli egoismi, sulle ineguaglianze e sulle ingiustizie? La politica riuscirà a ritrovare il suo spazio vitale uscendo dalla prigione dei leaderismi e dei personalismi per tornare dalla pancia alla mente della gente passando dal cuore?  E Trump, ammesso e non concesso che se ne vada al diavolo, finirà e porterà nella discarica dei rifiuti anche il trumpismo o riuscirà a riciclarsi direttamente o indirettamente? Domande provenienti da lontano, ma che ci sono molto vicine!