La potenza vaccinale dell’amore

Mi sono preso la briga di consultare il dizionario per verificare il significato del termine “lockdwn”, che in questo periodo va purtroppo assai di moda. Ebbene, lockdown, scritto anche lock down, è una parola d’origina americana e significa letteralmente isolamento, chiusura, detenzione, confinamento. Confesso la mia ignoranza in materia di lingue straniere, quindi non lo sapevo per certo, lo avevo intuito dall’uso che se ne fa e adesso, se possibile, sono ancora più preoccupato. A monte dell’isolamento/confinamento non possono che esservi delle regole negative, delle proibizioni più o meno drastiche, dei divieti difficili da sopportare anche in nome della salute personale e pubblica.

Ero sull’autobus, circa a metà mattina, e osservavo come il traffico e la confusione fossero contenuti (era luglio e si vedeva), ma, come spesso accade, i fatti si prendono la briga di smentire immediatamente i pensieri: l’autobus si blocca improvvisamente e rientriamo in piena bagarre per una strettoia , impediti a sinistra da mezzi per lavori stradali e a destra (ogni riferimento alla logistica politica è puramente casuale) da un suv (io le chiamo camionette, fuoristrada per la precisione) grosso, ingombrante, lussuoso, decisamente bello sul piano estetico. L’autista del bus, alquanto spazientito, dava sfogo alla propria eloquente gestualità per far capire al conducente del suv la necessità di spostare il mezzo: altrimenti non si poteva passare. Devo ammettere che, molto educatamente, l’autista in questione non aveva fatto ricorso al clacson illudendosi di risolvere la questione senza bisogno di immettere baccano in un ambiente abbastanza tranquillo. Ma Toscanini non ottenne l’effetto sperato perché il suonatore faceva finta di niente, sperava che non si rivolgessero a lui (o meglio stava facendo il finto tonto). L’autista imperterrito continuava a gesticolare tentando di rendere l’idea: se non sposti il suv, il bus ti viene in cul (scusate la volgarità, ma il messaggio era quello). Finalmente il “tonto di lusso” si degna di scendere dal suo potente mezzo con l’intenzione di parlare all’autista direttamente: forse ci siamo, pensavo tra me, dove non poterono i gesti risolveranno le parole. Il dialogo non fu concitato per merito del pubblico dipendente che si limitò ad esporre la sua oggettiva impossibilità a proseguire la corsa. Da parte sua “il fenomeno” se ne uscì con una pirandelliana affermazione: “Ma io devo andare in banca !!!…” (nell’agenzia proprio a lato). Non so come, ma l’autista del bus non si agitò, si limitò a scuotere il capo mentre l’altro continuava dicendo: “Perché non chiede di spostare il mezzo di lavoro stradale?”.  Risposta anche troppo equilibrata: “Ma le sembra possibile?… e poi le faccio presente che esiste un divieto di sosta molto ben visibile”.  Dopo qualche residua insistenza il suv venne finalmente spostato ed io ridendo di gusto estrassi il taccuino per annotarmi il ghiotto aneddoto: il traffico era ripreso e dico sinceramente di non essermi minimamente preoccupato dell’urgente operazione bancaria di quell’assurdo signore.

A questo punto mi chiederete cosa c’entri questo episodio di qualche tempo fa, pur molto curioso, con il lockdown dei giorni nostri. Apparentemente nulla. Invece dà l’idea della nostra refrattarietà alle regole e quindi del nostro accettare con difficoltà le pur pesantissime restrizioni imposte dalle pubbliche autorità per contrastare la diffusione del covid. Da una parte non giustifico le trasgressioni, ma nello stesso tempo capisco il senso di smarrimento di chi si trova umanamente e socialmente isolato a causa dei divieti imposti.

Qual è il limite che ci dobbiamo porre per non passare dall’isolamento fisico all’alienazione umana? La scrittrice israeliana Hamutal Shabtai nel suo romanzo “2020” ha curiosamente profetizzato la pandemia ed è rimasta essa stessa colpita da quanto la sua descrizione romanzesca si stia rivelando e dimostrando realistica: come la paura abbia preso il sopravvento e come non solo gli uomini, ma anche gli Stati abbiano iniziato a relazionarsi attraverso la lente della paranoia. Meir Ouziel termina su La repubblica il suo pezzo di commento al libro di cui sopra con queste affermazioni, che non ho capito se siano riprese testualmente dal libro, ma certamente ne rispecchiano sostanzialmente lo spirito: “Un mondo senza erotismo e senza amore tra gli esseri umani equivale alla morte del mondo. Il bacio è l’unico mezzo che l’uomo ha per far fronte, per un istante, alla sua nullità rispetto all’eternità. L’amore è l’elemento più importante delle nostre vite. Tutti moriremo prima o poi, con o senza virus. Ma se continueremo a vivere senza l’amore, senza la possibilità di baciarci, il covid avrà davvero sopraffatto l’umanità”.

Sto faticosamente e disciplinatamente osservando le regole anti-covid, ma non rinuncio, nel modo più assoluto, ai miei affetti, a baciare ed a fare l’amore con la persona a cui sono legato sentimentalmente. Ci sto a morire, perché diversamente mi sentirei morire prima del tempo. La mia paura, che pure è tanta, trova un limite invalicabile nell’amore.

Mi ricordo di un’ardita e stupenda similitudine, che mi prospettò anni fa un sacerdote amico, tuttora vivo e vegeto, unico per la sua pazienza verso la mia mentalità sessuale al di fuori degli schemi. Forse attingendo dalla sua vocazione adulta e quindi dalla più diretta conoscenza dei rapporti umani, parlando di Risurrezione, Paradiso e Premio Eterno, mi propose un raffronto tra lo stato di soddisfazione e felicità nella vita eterna con lo stato sublime e pieno di scambievole amore dell’amplesso coniugale, con quei momenti che si vorrebbe non finissero mai, tanta è la gioia e la completezza che si vive insieme. Così, a detta di questo amico sacerdote, disinibito e uomo fino in fondo, sarà di noi nell’altro mondo. Ebbene, io non rinuncio agli acconti di Paradiso, non rinuncio all’eternità per paura del coronavirus.

Termino con un grazioso aneddoto anche per sdrammatizzare in un certo senso il discorso. Un mio zio, che non era da meno in senso battutistico rispetto a mio padre, scommetteva su una lunga vita così giustificandosi: «Al garà un bél dir al dotór: questo paziente sta morendo; mi a continov a tirär al fiä…». Avrà un bel daffare il covid a condizionarmi gli affetti spaventandomi a morte, a far svanire per sempre il sogno mio d’amore: io continuo a dare e ricevere dolci baci e languide carezze mentre fremente le belle forme disciolgo dai veli…