Il filo (il)logico del “lockdownino”

Il presupposto teorico del comportamento attuale dei governanti in merito alla pandemia da covid 19 sembra essere il seguente: assembramento = contagio. Quindi una sorta di assioma: per contenere le occasioni di contagio occorre evitare gli assembramenti e allora lotta indiscriminata alle possibilità di assembramento, vale a dire ristoranti e bar pieni di gente, teatri, cinema, palestre, piscine, stadi, sagre, feste, cerimonie, convegni, etc. etc.

Qualcuno, forse con un po’ di malizia anticlericale, ha sollevato il ditino chiedendo: perché le chiese invece restano aperte? Probabilmente si sarà pensato che la gente in chiesa è più disciplinata e portata al rispetto delle regole. Mi rimane qualche dubbio, anche perché pure a teatro si può andare con criterio e senza vendere il cervello alla movida. Ma lasciamo perdere…

Come funzionava la disciplina nella scuola di un tempo? Se non si riusciva a individuare l’autore delle malefatte, si sparava nel mucchio o, meglio, si puniva tutto il gruppo. In un certo senso è la logica del lockdown generale, ma anche di quello sedicente mirato. In certe palestre c’è troppo casino: chiudiamo tutte le palestre. Certi bar sono sommersi dagli “apericena”: abbassiamo le saracinesche per tempo. Picchiamo duro, entriamo a gamba tesa laddove si profila la violazione dell’obbligo di mascherine e distanziamento o comunque dove i contatti ravvicinati sono piuttosto probabili se non addirittura inevitabili. Una sorta di punizione preventiva. Dice un vecchio proverbio cinese: “Quando torni a casa la sera, picchia tua moglie. Tu non sai perché, ma lei lo sa benissimo …”. Non mi dilungo sulla trasparente similitudine.

L’impressione è che si proceda a tentoni con i lockdown sparati alla viva il parroco, con le chiusure imposte alla “mosca ceca”, con le regole buttate al vento del “se la va la va”. D’altra parte questa incertezza non è solo dei governanti centrali e periferici italiani, è di tutta la scienza che una ne dice e cento ne pensa, è di tutti i potenti del mondo che brancolano nel buio forse ancor peggio di quelli italiani (si pensi soltanto al delinquenziale tira e molla di certi personaggi in Europa e in America del nord e del sud).

Che tutto il mondo sia vittima della pandemia e stia balbettando preoccupandosi soprattutto di impostare speculazioni globali nella distribuzione del vaccino, è cosa arcinota e sconfortante. Questa tristissima realtà non deve però giustificare il pressapochismo nostrano e non ci esonera dal cercare comportamenti virtuosi a tutti i livelli. Mal comune non è mezzo gaudio, ma totale disastro!

Sembrava che il nostro Paese avesse, nei tempi e nei modi, accumulato un vantaggio rispetto al resto d’Europa e del mondo, nella battaglia al coronavirus: i nostri comportamenti venivano da più parti additati come esemplari e da imitare. Si trattava di un primato, seppure molto discutibile e doloroso, pur sempre tale da inorgoglire. Lo abbiamo malamente sprecato con una lunga pausa, dopo la quale siamo tornati a comportarci all’italiana.

Non mi sembra onesto peraltro spostare l’attenzione sui disordini legati alle manifestazioni di protesta che si stanno sparpagliando in tutto il Paese: sono da condannare fermamente le degenerazioni violente e persino le generalizzazioni qualunquiste che rischiano di inquinare le manifestazioni di dissenso. Prima di tutto sarebbe opportuno che chi critica avesse qualche proposta alternativa da porre, altrimenti giochiamo al massacro (vale anche per il sottoscritto). In secondo luogo la violenza complica ulteriormente la situazione e può persino diventare un alibi per chi non vuol ascoltare le critiche. In terzo luogo non vorrei che si scatenasse una polemica come ai tempi del sequestro di Aldo Moro: si discuteva dell’autenticità delle sue lettere e ci si lasciava scappare i brigatisti da sotto il naso. Ora, ci disperdiamo in inutili polemiche sulla chiusura anticipata dei ristoranti e magari ci lasciamo scappare fior di miliardi europei con cui affrontare l’emergenza e programmare il dopo emergenza. Spero infine che non si arrivi a parafrasare linguisticamente ed a scopiazzare culturalmente il paradossale “né con lo Stato né con le Br”. Non giungiamo, per l’amor di Dio, a pensare e tanto meno a proclamare: “né con i lockdown né con le piazze infuriate”. Nelle mie riflessioni critiche non voglio certo arrivare a tanto, ma proprio per evitare il peggio, vorrei capire qualcosa di più, ammesso e non concesso che ci sia, del comportamento dei miei governanti, senza bisogno per questo di screditarli istituzionalmente o rifiutarli qualunquisticamente.

Torno a bomba. Qualche scienziato o comunque qualche addetto ai lavori della virologia sostiene che i tentativi governativi non siano suffragati da nemmeno uno straccio di dati al fine di valutare preventivamente l’impatto di certe restrizioni sulla diffusione del virus. Forse si pretende un po’ troppo, però c’è l’impressione che la situazione non sia sotto controllo e che quindi si proceda per tentativi, lasciando al tempo la dimostrazione dell’opportunità di certe misure. Ma il tempo significa accumulare incertezze ulteriori per le regole assieme alle certezze per i cadaveri. Con questa macabra constatazione termino la mia odierna problematica riflessione.