I finti gol nella rete bucata dal coronavirus

«La religione è il singhiozzo di una creatura oppressa, il sentimento di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito. È l’oppio dei popoli». Marx si sbagliava di grosso. Io però, in piena era Covid, provo a parafrasarlo in questo modo: “Il calcio è il grido di chi pretende a tutti i costi il ritorno alla normalità, di chi muore dalla voglia di giocare con la realtà. È il vaccino degli illusi”.

Dopo la presa d’atto di una diffusa positività tra giocatori e staff del Genoa, i casi sono due. Leggiamo di seguito cosa dice l’esperto in materia. “Quello che sta accadendo al Genoa potrebbe rappresentare la Waterloo dei tamponi”. Lo scrive su Fb il professor Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova: “Dopo poche ore dall’esito di tamponi negativi per tutta la squadra si è assistito a numerose positività con probabili conseguenze importanti sul futuro del campionato di serie A. I tamponi possono dare, da una parte una falsa patente di negatività e di liberi tutti e dall’altra produrre un esercito di positivi asintomatici. Rischiamo di far circolare soggetti negativi al tampone ma in fase di incubazione che trasmettono il virus e chiudere in casa altri con tampone positivo che non trasmettono a nessuno. Occorre rimettere al centro la clinica fatta di segni e sintomi, che unita alla virologia, rimane lo strumento migliore per la gestione della pandemia”. Parlando all’Adn Kronos il professor Bassetti ha poi spiegato: “Il Genoa Calcio ha rispettato il protocollo, sono stati fatti i tamponi nel giorno della partita e, visto che erano negativi, si è disputato il match. Ma l’esame con i tamponi è tutto tranne che perfetto, si può essere negativi, ma dopo poche ore si può essere positivi. Il tampone deve essere governato dalla clinica perché altrimenti si danno ‘patenti’ di negatività troppo facilmente. Il mondo del calcio oggi ci sta dando l’esempio dei limiti dello screening con il tampone, abbiamo a disposizione una ‘palestra’ importane di test sugli asintomatici mai avuta prima, è importante quindi che si analizzi quanto accaduto e si arrivi alle conclusioni”. Prima ipotesi quindi, seppure indirettamente argomentata in modo canonico: rimettere in discussione protocolli, tamponi e via discorrendo e continuare a giocare in attesa di tempi peggiori.

Se, invece, si prende per buono quanto emerge dalle analisi e dalla prudenza dettata dal buon senso, non si dovrebbe avere dubbi: sospendere il campionato sine die, dopo averlo ricominciato con estrema leggerezza (basta vedere quanto succede sui campi di gioco, tra abbracci, saluti e baci) e con idee confuse (un protocollo gruviera). Ma come noto, chi tocca il calcio muore anche a costo di far morire chi col calcio non ha nulla da spartire. Le squadre entrano separatamente in campo e poi tutto va avanti come se niente fosse. È come fanno certi diabetici, che dopo aver mangiato e bevuto a volontà, dopo avere ingoiato una maxi-fetta di torta, giunti al momento del caffè, tirano fuori dalla tasca la saccarina in pillole. E addirittura fino a qualche giorno fa si ipotizzava una riapertura, seppure parziale, degli stadi per la gioia (?) dei tifosi assetati di pallone, ma soprattutto per ristorare le finanze delle società calcistiche testardamente affamate di affari campati in aria. Assistiamo, accompagnati da tanta sciocca e prezzolata enfasi giornalistica, ad un mercato virtuale dove le cifre rischiano di ballare per una sola stagione. Se questo non è oppio del popolo, cos’è?

Per la verità un po’ tutta la lotta al coronavirus sta assumendo sempre più il carattere del “facciamo finta che…”: la gente è stanca e comincia a preferire il voltarsi dall’altra parte, spinta in questo dai quotidiani balletti mediatici, dalle continue kermesse degli scienziati in cerca d’aria per i loro denti, dalle alluvioni di cifre sparate alla viva il parroco, dall’incertezza e dalla precarietà, che regnano sovrane nella testa di chi ci dovrebbe governare. L’economia è l’alibi per fingere di sopravvivere, il mondo della scuola sta diventando lo sfogatoio problematico delle difficoltà, mentre il mondo del calcio continua ad essere il castello in aria con tutti gli illusori ponti levatoi in difesa dell’indifendibile.