I deliri da covid 19

Col suo solito stile tranchant Massimo Cacciari ha nitidamente fotografato la situazione pandemica in Italia all’insegna del delirio: nelle norme, nei controlli, nell’informazione. Con una espressione simpatica ed eloquente ha affermato di sentirsi trattato come un deficiente. Egli parte dal rifiuto stizzito e categorico della semplificazione sulla ripresa della pandemia che sarebbe dovuta al fatto che ci siamo troppo distratti e divertiti l’estate scorsa, mentre la motivazione seria riguarda la ripresa dei rapporti interpersonali a livello economico, sociale ed educativo.

In secondo luogo le cose fondamentali che erano state promesse, vale a dire il rafforzamento delle terapie intensive, l’adeguamento delle strutture ospedaliere e il potenziamento dell’assistenza territoriale, sono state regolarmente “cannate”: i reparti di rianimazione sono già vicinissimi al collasso, negli ospedali si sta tornando all’anormalità, sul territorio basta vedere le interminabili file per farsi fare un tampone.

Aggiungiamoci pure (questo lo dico io) il discorso delle scuole: era lapalissiano che il problema non sarebbero stati i banchi e forse nemmeno le aule, ma il “casino” dei trasporti, delle entrate e delle uscite. Mi è capitato di girare in automobile per le strade cittadine nell’ora di punta: nessuna differenza rispetto agli ammassamenti esistenti in era anti-covid.

Cacciari se la prende anche con i controlli effettuati a vanvera, in modo assurdo per non dire demenziale, senza alcuna razionalità e senza alcuna efficacia, ma solo per dare l’illusione di avere la situazione sotto controllo. Prima ancora però esiste, a suo dire, il delirio normativo che guarda la pagliuzza delle feste in famiglia e trascura la trave dei bus e dei treni stracolmi.

Il discorso più criticamente interessante è però quello riferito ai dati sparati alla viva il parroco, senza alcun senso scientifico: nessuno spiega le patologie delle persone che non hanno retto al virus; nessuno analizza il rapporto fra tamponi effettuati e contagi riscontrati; nessuno chiarisce quale sia il rapporto fra contagiati asintomatici e contagiati in sofferenza, fra curati a casa e curati in ospedale, etc. etc.

Morale della favola: c’è da perderci la testa, da sentirsi becchi e bastonati, da farsi prendere dal panico. Cacciari conclude con un assioma (quasi) filosofico: non mi mettono in grado di ragionare e quindi mi fanno passare da deficiente.

A Massimo Cacciari ha fatto eco Alessandro Vespignani, 55 anni, uno dei massimi esperti di epidemiologia computazionale, che osserva l’evoluzione del contagio in Italia e la strategia messa in campo dal governo. A Boston dirige il «Laboratory for the modeling of biological and Socio-technical Systems», alla Northeastern University.

«Che il virus abbia ripreso a correre non è un certo una sorpresa. Lo sapevamo tutti che l’epidemia avrebbe ripreso forza in autunno, con la riapertura delle scuole, la ripresa delle attività e così via. Ora serve sangue freddo e giocare d’anticipo contro il virus, direi “a zona” per usare un’espressione calcistica. Innanzitutto le misure prese dal governo vanno poi declinate a livello territoriale. Il Covid va stanato regione per regione, città per città, quartiere per quartiere. Occorrono restrizioni mirate, non servono le misure a tappeto. E più che al numero dei positivi in generale, dobbiamo guardare alla situazione negli ospedali, alla saturazione dei posti nelle terapie intensive».

Quanto al senso delle misure governative Vespignani afferma: «Qui c’è un problema di comunicazione. Immagino che il governo abbia adottato quelle misure sulla base di dati scientifici. Però ora le deve spiegare e rispiegare ai cittadini. Non ho avuto modo di vedere tutte le carte, ma restiamo sull’esempio degli invitati a casa. Immagino che il comitato tecnico-scientifico abbia raccolto segnali importanti che il coronavirus si trasmette nei contatti con persone estranee al nucleo famigliare, identificato, per stare larghi, con una media di sei persone. Però tutto questo ragionamento va spiegato, altrimenti nessuno capisce l’importanza della misura. Un altro caso: perché il calcetto no e lo sport delle associazioni giovanili sì? Probabilmente perché il calcetto è praticato da milioni di persone, mentre le associazioni giovanili forse coinvolgono 3-400 mila ragazzi e ragazze e quindi sono più controllabili».

In conclusione l’epidemiologo dice: «Abbiamo perso molto tempo a discutere sul virus. Non possiamo fare finta di niente e neanche aspettare, sperando che la situazione migliori da sola. Non succederà. Dobbiamo tornare a essere uniti. I numeri di oggi non sono confrontabili con quelli di marzo, ma abbiamo davanti almeno 5-6 mesi durissimi».

Ho messo a confronto due pareri peraltro abbastanza concordi: di un uomo di pensiero e di un uomo di scienza. L’ho fatto per respirare in mezzo alla valanga di cavolate che ci opprime e che è direttamente proporzionale alla perniciosa voglia negazionista ed alla pericolosa tentazione riduzionista. L’ho fatto per tornare a ragionare in mezzo alla confusione in cui tutti i gatti sono bigi e in continuo agguato politico, scientifico e mediatico. L’ho fatto perché il mio spirito critico rimane intatto e penso sia il modo migliore per rispondere positivamente ai richiami al senso di responsabilità.