Continuismo a prova di docufilm

Se non erro, l’ultima omelia pronunciata dall’indimenticabile amico don Luciano Scaccaglia, agli inizi del 2014, affrontò lo spinoso argomento del rispetto della laicità dello Stato in materia di legislazione famigliare. Ricordo di avere apostrofato le sue parole, esprimendo un commento alla persona che mi stava accanto: «Un sacerdote con questo coraggio e con una visione così chiaramente evangelica e laica è molto difficile, forse impossibile, trovarlo». Era quasi un testamento spirituale che riporto di seguito: «Quindi tu, Chiesa, non avere paura! Non avere paura dei diversi, anche dei diversi sessualmente parlando: sono una ricchezza e non un pericolo. Non avere paura delle coppie di fatto: il sacramento che le unisce è l’amore. Non avere paura delle coppie omosessuali perché sono segno di amore e non temere se i bambini saranno affidati a queste coppie che hanno la vocazione e l’impegno a livello genitoriale e possono andare ben oltre la procreazione biologica. Non avere paura delle leggi civili laicamente e democraticamente adottate dal Parlamento. Non avere paura del sesso, perché è un grande dono di Dio. Non avere paura degli stranieri, perché Gesù li andava a cercare ed aveva grande fiducia in loro. Non avere paura degli Islamici, perché Gesù non discriminava nessuno in base alla religione.  Signore! Aiutaci a non avere paura! Ad andare per le nostre strade con il coraggio dell’amore e non in piazza con la paura del nuovo!». Don Scaccaglia, quando sosteneva queste tesi, sapeva di rappresentare un’avanguardia, di suscitare reazioni stizzite, di essere oggetto di allarmistiche critiche a livello episcopale e clericale, ma non si lasciava spaventare o frenare.

Ai suoi scandalizzati critici fischiano le orecchie: papa Francesco sta dicendo sostanzialmente le stesse cose. D’altra parte don Scaccaglia in vita era comunque in compagnia fortemente minoritaria, ma decisamente autorevole, se il cardinale Carlo Maria Martini affermava con assoluta tranquillità: «Non è male che due omosessuali abbiano una certa stabilità di rapporto e quindi in questo senso lo Stato potrebbe anche favorirli. Non condivido le posizioni di chi, nella Chiesa, se la prende con le unioni civili».

Infatti non a caso il nostro pretaccio lo ricordava così: «Tre anni or sono moriva il card. Carlo Maria Martini, grande studioso della Bibbia, pastore e profeta. Sulle orme di Gesù, partendo dalla giustizia quale conseguenza della fede, era aperto alle persone, non facendosi mai imprigionare dagli e negli schemi,  con una grande attenzione ai non credenti, ai poveri, ai malati, agli indigenti, agli stranieri, agli omosessuali, alle coppie di fatto, ai divorziati risposati, ai detenuti, financo ai terroristi; affrontava serenamente il dialogo con le altre religioni, si poneva, a cuore aperto, davanti alle problematiche sessuali, alla bioetica, all’eutanasia, all’aborto, all’accanimento terapeutico, all’uso del preservativo, al sacerdozio femminile, al celibato sacerdotale. Sempre pronto all’incontro con gli “altri”, con tutti».

In questi anni del pontificato francescano ho spesso registrato un certo gap teologico fra il pensiero di papa Francesco e quello del cardinal Martini soprattutto in materia sessuale. Bergoglio era un seguace di Martini: entrambi gesuiti, entrambi riconducibili all’area progressista cattolica. Il cardinale argentino ha raccolto il tardivo testimone dal perdente italiano nel conclave del 2006: Martini rinunciò alla candidatura a favore di Ratzinger. Ci vorrà tempo, ma ho fiducia che la distanza alla lunga possa essere colmata e le novità possano finalmente sbocciare e diventare stile pastorale comune.

“Le persone omosessuali hanno il diritto di essere in una famiglia. Sono figli di Dio. Nessuno dovrebbe essere estromesso o reso infelice per questo. Ciò che dobbiamo creare è una legge di convivenza civile. In questo modo sono coperti legalmente. Mi sono battuto per questo”. Lo afferma papa Francesco nel docufilm “Francesco” di Evgeny Afineevsky, presentato in anteprima mondiale al Festival del cinema di Roma, nella sezione Eventi Speciali.

Nel lungometraggio il Papa interviene sul tema anche con una telefonata a una coppia di omosessuali italiani che gli avevano indirizzato una lettera. Andrea Rubera e Dario Di Gregorio, tre figli piccoli a carico avuti con la “gestazione per altri” in Canada, avevano chiesto al Papa come superare l’imbarazzo legato al loro desiderio di portare i figli in parrocchia alle lezioni di catechismo. La risposta di papa Francesco è stata inequivocabile: i bambini vanno accompagnati in parrocchia superando eventuali pregiudizi e vanno accolti come tutti gli altri. Andrea Rubera è presidente di “Nuova proposta”, associazione di cristiani lgbt di Roma.

Sono parecchi i pronunciamenti aperturisti di papa Francesco in ordine all’omosessualità. La frase forse rimasta più celebre rimane quella del 28 luglio 2013 di ritorno dal viaggio apostolico in Brasile, in occasione della XXVIII Giornata mondiale della gioventù: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?».

Il quotidiano Avvenire si mette dalla parte del manico e scrive che la nuova presa di posizione sui diritti da riservare alle persone omosessuali – ineccepibile (bontà sua n.d.r.) alla luce del Vangelo – rischia di essere letta come volontà implicita di rivedere il magistero sul matrimonio. Secondo il giornale di emanazione Cei, non è così e non avrebbe alcun senso ipotizzarlo.

Non mi interessa cercare l’ago nel pagliaio del continuismo magisteriale in materia sessuale. I casi sono due. O il cardinal Martini vaneggiava quando sosteneva: «La Chiesa è rimasta indietro di 200 anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio?». Oppure si tende a parlare bene e a razzolare male: magari rispedendo al mittente il sacrosanto diritto di accedere ai sacramenti e/o mettendo sulla groppa degli omosessuali il ridicolo obbligo di vivere in castità.

Attenzione a non fare come con il coronavirus: ci sono i negazionisti e i riduzionisti. Nel caso dell’omosessualità essere negazionisti rispetto ad un passato fatto di discriminazioni e intolleranze, anche da parte di uomini di Chiesa, mi sembra impresa storicamente e culturalmente assai ardua. Il riduzionismo invece è di casa anche se forse è ancor peggio. D’altra parte a livello di ebraismo non c’è chi sostiene che Gesù non dicesse niente di nuovo rispetto alla dottrina seguita dai “preti” dell’epoca? Mi chiedo allora perché tanta ostilità fino a metterlo in croce.

Cerchiamo di essere seri e ammettiamo che papa Francesco, pur con qualche titubanza e incertezza, sta cambiando certi indirizzi pastorali sciacquando quelli dottrinari nell’Arno evangelico e vigiliamo perché le inevitabili ondate reazionarie e tradizionaliste non tentino di svuotare nella prassi le novità espresse dal pontefice. Il pericolo è fortissimo.

Papa Francesco ha parlato del rapporto tra Chiesa e gay il 21 maggio 2018, incontrando un omosessuale cileno, Juan Carlos, come riferisce il quotidiano spagnolo “El Pais”. Queste le parole di Francesco: «Juan Carlos, che tu sia gay non importa. Dio ti ha fatto così e ti ama così e non mi interessa. Il papa ti ama così. Devi essere felice di ciò che sei”. Juan Carlos Cruz fu vittima di don Fernando Karadima, parroco pedofilo che è stato all’origine dello scandalo che ha scosso la Chiesa cilena. I suoi abusi, in particolare, sarebbero stati nascosti dalle gerarchie, fra queste dal vescovo di Osorno, Juan Barros.

Don Scaccaglia era da poco ritornato in parrocchia dopo lunga degenza ospedaliera per un complesso intervento chirurgico: gli rendevo visita non troppo frequentemente per non affaticarlo, ma comunque cercavo di comunicargli la mia vicinanza con qualche breve puntata nel suo appartamento. Andai da lui una domenica mattina prima della messa, che non aveva ancora ripreso a celebrare, pochi giorni dopo lo scoppio dello scandalo dell’outing del monsignore della curia vaticana, il quale ammetteva la sua omosessualità e la relazione con il suo partner, lanciando un bel sasso nella piccionaia omofoba (di facciata) degli ambienti clericale. Provai a introdurre en passant l’argomento con una battuta: «Hai visto Luciano che razza di casino ha fatto scoppiare quel monsignore della curia romana?». Sostanzialmente la risposta secca e immediata fu: «Ha fatto benissimo! È inutile continuare a nascondere la realtà dell’omosessualità presente anche fra i sacerdoti. Bisogna prenderne atto, smettere di criminalizzarla, toglierla dalla clandestinità e volgerla in positivo». Non volli battere ulteriormente il tasto, mi limitai solo a commentare: «Se mi volevi dimostrare di avere ripreso totalmente la tua lucidità e la tua verve, ci sei riuscito pienamente». Ne riferii ai componenti della comunità di S. Cristina al termine della messa celebrata da un sostituto: rimase piuttosto perplesso, ma non disse nulla e incassò il colpo.