Siamo tutti diversamente normali

L’omofobia è la paura e l’avversione irrazionale nei confronti dell’omosessualità, della bisessualità e della transessualità e quindi delle persone omosessuali, bisessuali e transessuali basata sul pregiudizio. L’Unione europea la considera analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo. Con il termine “omofobia” quindi si indica genericamente un insieme di sentimenti, pensieri e comportamenti avversi all’omosessualità o alle persone omosessuali.

L’omofobia è ad un tempo timore ossessivo di scoprirsi omosessuale e avversione nei confronti degli omosessuali. Il termine è infatti utilizzato con diversi significati. Le definizioni di omofobia esistenti possono essere sintetizzate in tre principali prospettive: accezione pregiudiziale, accezione discriminatoria e accezione psicopatologica:

  • l’accezione pregiudiziale considera come omofobia qualsiasi giudizio negativo nei confronti dell’omosessualità. In questa definizione vengono considerate manifestazioni di omofobia anche tutte le convinzioni personali e sociali contrarie all’omosessualità come ad esempio: la convinzione che l’omosessualità sia patologica, immorale, contronatura, socialmente pericolosa, invalidante; la non condivisione dei comportamenti omosessuali e delle rivendicazioni sociali e giuridiche delle persone omosessuali. Non rientra in questa accezione la conversione in agito violento o persecutorio nei confronti delle persone omosessuali.
  • l’accezione discriminatoria considera come omofobia tutti quei comportamenti riconducibili al sessismo che ledono i diritti e la dignità delle persone omosessuali sulla base del loro orientamento sessuale. Rientrano in questa definizione le discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, gli atti di violenza fisica e psicologica (percosse, insulti, maltrattamenti).
  • l’accezione psicopatologica considera l’omofobia come una fobia, cioè una irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti delle persone omosessuali che compromette il funzionamento psicologico della persona che ne presenta i sintomi. Tale valutazione diagnostica includerebbe quindi l’omofobia all’interno della categoria diagnostica dei disturbi d’ansia e rientrerebbe all’interno dell’etichetta di fobia specifica. A differenza delle prime due accezioni, l’omofobia come fobia specifica non è frutto di un consapevole pregiudizio negativo nei confronti dell’omosessualità quanto piuttosto di una dinamica irrazionale legata ai vissuti personali del soggetto. Quest’ultima definizione, per quanto più attinente alla radice etimologica del termine, ad oggi non è sostenuta da una letteratura sufficiente da farla inserire nei principali manuali psicodiagnostici.

Ho tentato di fare chiarezza in materia, prima di addentrarmi nell’argomento, prendendo spunto da un fatto curioso: Marco e Denis, due uomini di Padova, che dopo la loro unione civile hanno deciso di festeggiare in Puglia l’inizio della loro vita insieme. E qui hanno avuto un’amara sorpresa: lo chef del resort Canne bianche a Fasano, dove soggiornavano, ha disegnato con la salsa la forma di un pene in un piatto destinato alla coppia. “Ci siamo sentiti umiliati”, dicono i due. “Pensavo di essere in un piccolo paradiso, ma, nonostante la cura dei dettagli, il personale è evidentemente poco selezionato e omofobo: siamo stati derisi dai camerieri, lo chef con la salsa ha scritto volgarità nei piatti e ridendo con i colleghi voleva farli portare a tavola”. Viaggio di nozze rovinato, quindi, e la loro denuncia è arrivata fino a Mixed Lgbti, associazione di Bari che si occupa proprio di tematiche Lgbt e di genere.

I soggetti omosessuali hanno mille ragioni per protestare ed esigere rispetto. Nei loro confronti, senza pensare alla violenza vera e propria che molto spesso si scatena, rimane sempre una vena di irrisione, di derisione, di compatimento, che ferisce tanto quanto e forse ancor più del rifiuto clamoroso e violento.

Ci dovrebbe essere uno sforzo, da parte di tutti e a tutti i livelli, di normalizzare nel modo più assoluto le scelte di vita di questi soggetti, senza insistere nella teorizzazione e nella contrapposizione. Ho l’impressione invece che gli omosessuali tendano più ad enfatizzare e ad esibire la loro diversità che a farla rientrare appunto nella normalità.

Non ricordo chi, forse lo scrittore Luca Goldoni, accennava ironicamente al rischio che, a forza di parlare di omosessualità, i diversi diventassero gli eterosessuali, invertendo paradossalmente il discorso.  Ripulita dall’ironia, questa affermazione mi sembra abbastanza seria e significativa di un clima conflittuale in cui viene collocata a tutti i costi la questione. Se non c’è conflitto, lo si va a cercare, se ne sente il bisogno, si vuole essere discriminati a tutti i costi per rivendicare la propria libertà e normalità. È un salto culturale che le persone omosessuali dovrebbero cercare di fare, quello di non sentirsi sempre e comunque sul banco degli imputati e di voler passare su quello dei giudici, ma di vivere con assoluta semplicità la loro vita senza bisogno di protagonismo aggiuntivo. Solo se arriveremo lì, avremo sconfitto l’omofobia, diversamente terremo aperta una sorta di guerra infinita in cui abbiamo tutto da rimettere e niente da guadagnare e in cui trovano brodo di coltura e libero sfogo i mai sopiti rigurgiti omofobi.

Partecipando a feste di nozze ho a volte assistito alla stupida gag del piatto di frutta offerto alla sposa, costituito dalla pornografica combinazione tra una banana e due arance oppure della torta nuziale con sopra la statuina dello sposo con enorme fallo in erezione: cose sciocche, triviali e fastidiose. Forse il piatto col pene al pomodoro rientra in questa categoria di stupidaggini sessuali. Capisco il disappunto di chi subisce simili scherzi, ma forse non è il caso di farne un caso.

Così come l’esibizionismo spinto dei gay-pride che non fa certo bene alla normalizzazione del concetto e della prassi omosessuale: il volere a tutti i costi marcare la propria diversità portandola ai confini della provocazione estrema. Un po’ come le persone che parlano continuamente di sesso, sbandierando le loro avventure erotiche: coprono spesso le loro impotenze, insufficienze e manie. Qualche rara volta mi è capitato di parlare a tu per tu con persone omosessuali o comunque rientranti in situazioni sessuali Lgbt e le ho trovate d’accordo sulla mia tesi, anzi a volte addirittura indispettite dall’esibizionismo e dal protagonismo controproducente. A sollevare questi discorsi bisogna però stare attenti perché si può finire inopinatamente da una parte nel calderone indistinto dell’omofobia o dell’ipocrisia perbenista e dall’altra parte in quello del lassismo o del transgender.  Il solito modo manicheo di affrontare i discorsi. Sotto sotto continuiamo a considerare il sesso un tabù e lo affrontiamo con cattiveria, con senso di colpa e soprattutto con bigottismo o antibigottismo, facendo un favore ai bigotti di tutti i generi.

Per concludere mi sembra opportuno riportare di seguito testualmente quanto scrive Paolo Rodari su La Repubblica. “Si chiama La costa del Limay. È un ‘condominio sociale protetto per donne trans’, costruito nel quartiere Confluencia di Neuquén, la città più popolosa della Patagonia. È stato inaugurato lo scorso 10 agosto grazie all’impegno di una suora di clausura, la carmelitana Mónica Astorga Cremona, che da anni accoglie le trans che vivono in condizioni di disagio, spesso in fuga dalla prostituzione e bisognose di occupazione: dodici miniappartamenti con un salone comune. Secondo quanto riporta l’agenzia Telam, l’inaugurazione è stata salutata anche da papa Francesco, il quale, nonostante sia a conoscenza dell’ostilità di parte della Chiesa locale per il lavoro della religiosa, ha voluto scriverle queste parole: «Cara Mónica, Dio che non è andato al seminario, né ha studiato teologia, ti ripagherà abbondantemente. Prego per te e per le tue ragazze. Non dimenticare di pregare per me. Gesù ti benedica e la Santa Vergine ti assista. Fraternamente, Francesco».