La politica per interposta scheda elettorale

Ci stiamo avvicinando all’articolata consultazione elettorale, che sembra fatta apposta per fare casino politico. Si vota per alcune importanti regioni e contemporaneamente sul referendum per il taglio dei parlamentari. Dietro questi voti fa capolino il giudizio sul governo Conte bis e addirittura la sua eventuale caduta, che potrebbe passare dalla sconfitta del centro-sinistra in Toscana e/o dalla vittoria del “no” sulla riformina (?) costituzionale della sforbiciata al Parlamento.

Entrambe queste eventualità, finora ritenute poco probabili, stanno diventando possibili e atte a comportare un “liberi tutti” con successivo rimescolamento di giochi e di carte. Infatti, sia a destra che a sinistra, sotto sotto c’è chi fa il tifo e aspetta il momento per buttare il vescovo e i preti nella merda. Chi sarebbe il vescovo? Facile ad intuirsi: Giuseppe Conte, oberato, oltre che dalle drammatiche emergenze covid, dalle difficoltà di governo e politiche, internamente ed esternamente alla sua maggioranza. E i preti? Altrettanto semplice individuarli: Nicola Zingaretti, stretto fra uno stiracchiato e incoerente “sì”, una notevole debolezza emergente dagli ozi regionali, sempre più schiacciato sui ricatti pentastellati e lontano dalla promessa discontinuità (come sostiene Emma Bonino, dalla malcelata mutilazione del Parlamento ai decreti sicurezza, dalla prescrizione a quota cento emerge una spiazzante e invalidante continuità per il Pd); Matteo Salvini, sempre più isolato e contestato in casa dalla “fronda giorgettiana”, dalla crescente “autorevolezza zaiana”, comico interprete di una leadership sempre più contesa anche all’esterno “dall’onda meloniana”  e disturbata dal “malpancismo forzitaliota”.

Nicola Zingaretti sta evidenziando la sua intrinseca debolezza e la sua burocratica incoerenza: il “sì” non gli dona, la Toscana lo fa traballare, Saviano lo vuol distruggere, il suo partito ha bisogno di una guida ben più autorevole e decisa. Matteo Salvini ha un sacco di guai con la giustizia, è contestato in piazza, è guardato a vista dai suoi e combattuto dagli alleati. I risultati elettorali stanno diventando una sorta di prova del nove per la caduta di questi due “dei di cartapesta”.

Il movimento cinque stelle ha innescato un populismo, che sta coinvolgendo troppi soggetti politici: il “sì”, se vedrà la luce, sarà figlio di troppi e disomogenei genitori: grillini, leghisti e fratelli d’Italia. La lega di Salvini ha indetto l’ennesima gara per legittimarsi come forza di governo: ma parte sempre troppo da lontano e dal difficile e, anche se dovesse incassare un risultato regionale soddisfacente o addirittura clamorosamente vincente, non avrebbe la forza per metterlo a frutto politicamente. Un gran casino avvitato su se stesso. Il Pd gioca sempre in difesa col rischio di prendere gol nei minuti di recupero.

Ci vuole coraggio per andare a votare. Verrebbe voglia di starsene a casa, ma dietro l’angolo ci sono comunque due grossi pericoli da scongiurare: consegnare il Paese a sovranisti e populisti sperando soltanto che se le diano di santa ragione fra di loro; assistere al crollo, sul territorio, della sinistra col rischio di innescare profondi mutamenti nelle direttive fondamentali della politica italiana.

Un “no” rispedirebbe al mittente le velleità populiste di ogni tipo e genere; la conferma dei governatori regionali di centro-sinistra (almeno in Toscana) ricondurrebbe la politica ad un minimo di coerenza e consistenza programmatica. Non so cosa succederebbe al governo Conte. I grillini sarebbero incazzatissimi, ma non potrebbero far male a nessuno se non a se stessi; l’ammalato democratico prenderebbero un brodino caldo, che gli darebbe un minimo di forza per evitare almeno gli avvoltoi renziani e calendiani; i leghisti troverebbero forse il coraggio di mandare a casa Salvini, con un certo ritardo e con un certo sconquasso, ma sempre meglio uno Zaia ragionante che un Salvini sbraitante.

Mi tocca fare il tifo per il “no” anche se inquinato dagli abbonati al no, che non mi piacciono, ma per dare almeno una ridimensionata ulteriore alle velleità grilline; mi tocca accontentarmi in Toscana di un Eugenio Giani qualsiasi, che faccia da cotone emostatico all’emorragia  di sinistra; mi tocca sperare nella conferma di due casinisti come De Luca ed Emiliano per evitare casini ben più grandi e pericolosi; mi tocca mettere il naso in casa leghista per preferire una politica sbagliata (leggi Giorgetti e Zaia) al populismo becero (leggi Salvini sotto scacco di Meloni). È pur vero che la politica è l’arte del possibile, ma dovrebbe essere pur sempre un’arte e non un mero artificio difensivo contro il peggio. Invece…