Il canonico Samaritano

“Il valore inviolabile della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico. Così come non si può accettare che un altro uomo sia nostro schiavo, qualora anche ce lo chiedesse, parimenti non si può scegliere direttamente di attentare contro la vita di un essere umano, anche se questi lo richiede. Pertanto, sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla, ma al contrario significa disconoscere il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, e il valore della sua vita, negandogli ogni ulteriore possibilità di relazione umana, di senso dell’esistenza e di crescita nella vita teologale. Di più, si decide al posto di Dio il momento della morte. Per questo, «l’aborto, l’eutanasia e lo stesso suicidio volontario guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l’onore del Creatore»”.

Siamo al solito dogmatismo clericale interpretato alla perfezione dalla recentissima lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita. Non accetto queste visioni dottrinarie, teoriche e radicali, che finiscono col creare assurde ed inaccettabili generalizzazioni. Quando in classe qualcuno faceva casino e non si riusciva bene a distinguerlo si finiva col punire tutti indistintamente mettendo tutti dietro la lavagna dei cattivi. Che dietro la lavagna ci finiscano i moribondi costretti a vivere non lo posso nemmeno pensare.

“Alcuni fattori oggigiorno limitano la capacità di cogliere il valore profondo e intrinseco di ogni vita umana: il primo è il riferimento a un uso equivoco del concetto di “morte degna” in rapporto con quello di “qualità della vita”. Emerge qui una prospettiva antropologica utilitaristica, che viene «legata prevalentemente alle possibilità economiche, al “benessere”, alla bellezza e al godimento della vita fisica, dimenticando altre dimensioni più profonde – relazionali, spirituali e religiose – dell’esistenza».[30] In virtù di questo principio, la vita viene considerata degna solo se ha un livello accettabile di qualità, secondo il giudizio del soggetto stesso o di terzi, in ordine alla presenza-assenza di determinate funzioni psichiche o fisiche, o spesso identificata anche con la sola presenza di un disagio psicologico. Secondo questo approccio, quando la qualità della vita appare povera, essa non merita di essere proseguita. Così, però, non si riconosce più che la vita umana ha un valore in sé stessa”.

Mi chiedo: cosa c’entra con questo aulico ed accademico discorso un povero cristo (sic!) che, sottoposto a sofferenze inenarrabili, ritenga di non riuscire più a sopportarle sul piano fisico e psicologico e chieda di mettere fine alla propria esistenza terrena, uscendo di scena silenziosamente e in punta di piedi. Questo sarebbe egoismo? Individualismo? Disprezzo per la vita? Ma fatemi il piacere… L’alimentazione forzata, le cure palliative, gli antidolorifici sono la foglia di fico dietro cui si nasconde un caricare gli uomini di pesi insopportabili, toccando quei pesi solo col dito della finta solidarietà, più parolaia che teorica. Mi viene spontaneo fare un parallelismo farisaico con l’ammissibilità del metodo anticoncezionale Ogino-Knaus: l’importante è salvare la forma, il principio astratto, la regola religiosa. Il discorso, entro certi limiti, vale anche per l’aborto.

Riguardo al vizio della regolamentazione religiosa ritengo opportuno rifarmi a quanto diceva don Andrea Gallo: «Non è la tutela dei diritti individuali uno dei cardini del messaggio evangelico? La nozione di vita deve essere alta, ricca, personale più di quanto non sia una nozione di organismo, oggetto della scienza. Dov’è l’amore? Dov’è il rispetto del primato della coscienza personale? Dov’è la pietà? C’è un vuoto d’amore in questa crociata cattolica e avanza un pesante fondamentalismo. Esistono regole come la libertà di cura e il divieto di accanimento terapeutico anche nel catechismo. Mi sembra che si voglia respingere un principio sancito dalla legge, come la libertà di non accettare cure. A Piergiorgio Welby, per sua volontà, mentre ascoltava la musica di Bob Dylan, dopo essere stato sedato, è stato staccato il sondino ed è spirato: era come un malato di tumore con metastasi, sapeva che l’operazione non sarebbe servita a nulla e l’ha rifiutata. Si può accettare un’esistenza dolorosa in un letto, completamente immobile? Per Welby era un inferno. Chi aveva il diritto di decidere per lui?».

Non si dovrà, come disse in una stupenda battuta polemica Pier Luigi Bersani, accettare che a decidere modi e tempi della nostra morte sia il senatore Gaetano Quagliariello, preoccupato solo di compiacere i cattolici dotati di dogmatici paraocchi: penso di avere il sacrosanto diritto a decidere in proprio, dal momento che la vita è stata donata a me ed io ne devo e ne dovrò rispondere. Ho fatto esperienze tali da convincermi che non solo il testamento biologico sia sacrosanto, ma anche la prospettiva di una seria legislazione in materia di eutanasia non sia assolutamente da scartare a priori dal punto di vista etico e civile. Quindi non concedo nemmeno ad un gruppo di soloni chiusi nelle stanze vaticane di sindacare e speculare sulla mia vita e sulla mia morte.

Sono sicurissimo che il Padre Eterno non giudicherà chi ha deciso di mettere fine alle proprie sofferenze, richiamandosi alla lettera della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, subdolamente intitolata “Samaritanus bonus”, ma lo abbraccerà piangendo e sussurrando: “Finalmente sei arrivato a casa, era proprio ora…”.

Per finire una parolina nell’orecchio a papa Francesco: ho l’impressione che dia persa la battaglia contro il dogmatismo curiale e si tenga in disparte da esso pur controfirmando i documenti ufficiali della Congregazione della fede. Un atteggiamento del genere io me lo posso permettere, lui (forse) no. Non può razzolare bene (gliene do atto) e predicare male (in certe topiche occasioni). Cerchi almeno di smorzare i sacri ardori e i reiterati rigurgiti della “scomunichite cronica”. Ho la presunzione di pregare perché il Signore gli dia questa forza.