Toccare la Chiesa nel portafoglio

Ci sono anche sette laici, tra i quali sei donne, tra i tredici nuovi membri del Consiglio per l’Economia, l’organismo istituito da Papa Francesco nel 2014 con il compito di sorvegliare la gestione economica e vigilare sulle strutture e sulle attività amministrative e finanziarie dei Dicasteri della Curia Romana, delle Istituzioni collegate con la Santa Sede e dello Stato della Città del Vaticano. In questo organismo ci sono anche sei cardinali, che sono in minoranza numerica. Alla Chiesa non si possono applicare, tout court, i criteri democratici, anche se un po’ di democrazia non farebbe male.

Ho da sempre sostenuto come sia più facile che un laico passi per la cruna dell’ago del celebrare la messa piuttosto che avere potere nelle questioni economiche e affaristiche della Chiesa. Forse sono stato un po’ rafforzato nella mia idea e un po’ smentito nel mio pessimismo, anche se è molto presto per cantare vittoria, se l’irlandese Ruth Kelly, ex ministro Labour, fra le sei esperte chiamate da Francesco, ha dichiarato che “Nelle finanze vaticane servono più laici e donne”.

Mi permetto di allargare il discorso a tutta la vita della Chiesa: la partenza, seppure lenta e in salita, mi pare quella giusta. Mio padre, da grande saggio qual era, sosteneva che per giudicare e fare i raggi etici a una persona o a una istituzione bisognasse guardarne e toccarne il portafoglio. È lì che casca l’asino, è lì la prova del nove di certa generosità a parole, di certa disponibilità teorica. «Tochia in-t-al portafój…».

Intendiamoci bene la Chiesa è bella perché è varia: ci sono laici ben più clericali dei preti, ci sono donne che anche nella vita ecclesiale puntano alla parità dei difetti con gli uomini, ci sono preti che vanno a donne (non mi scandalizzo, anzi gradirei che potessero farlo apertamente e seriamente come lo dovrebbe fare qualsiasi laico) e ci sono donne che vanno a preti (il fascino del proibito funziona sempre), ci sono leccapreti di vocazione e/o di convenienza, ci sono atei devoti che la danno su alle gerarchie ecclesiastiche e le sostengono politicamente, ci sono cattolici maturi e adulti che se ne sbattono le balle dei diktat papali, cardinalizi, episcopali e clericali in genere, ci sono vescovi commissari implacabili e vescovi padri aperti e misericordiosi. Ce n’è per tutti i gusti…

Non illudiamoci quindi che basti mettere sette laici, di cui sei donne, su tredici nel Consiglio per l’Economia per risolvere il problema dell’intrigo affaristico che aggroviglia le finanze vaticane, tuttavia accontentiamoci di un passettino in avanti.  Si leggono ricostruzioni faraoniche del patrimonio della Chiesa istituzione: tutto compreso arriviamo a 2 mila miliardi, un milione di immobili sparsi in tutto il mondo, 115 mila soltanto in Italia, con appartamenti di lusso spesso affittati a prezzi di favore (non certo ai poveracci di turno). Sono cifre da capogiro: indubbiamente vanno interpretate alla luce delle complesse esigenze ecclesiali, ma lasciano molti dubbi e molto amaro in bocca. Come lascia più di un dubbio l’istituto dell’otto per mille ed il suo utilizzo. Possibile che per certe iniziative non salti fuori neanche un granellino di tutto questo bendiddio? Mi auguro che i componenti del Consiglio di cui sopra abbiano il coraggio di mettere il naso in questa realtà a costo di lasciare un dito negli ingranaggi.

Ma c’è o ci dovrebbe essere, come scrive Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, l’altra Chiesa, quella dei preti scalzi: «Può sembrare strano che papa Francesco parli a vescovi e cardinali e additi loro un prete scalzo, un povero prete animato e purificato dal fuoco della Pentecoste, un ministro che serve, che – secondo l’etimologia – si preoccupa della “minestra”, della razione di cibo quotidiano per ciascuno, un servitore fedele che sa come l’anelito più profondo deposto nel cuore degli umani si esprime attraverso un corpo che prova fame, sete, freddo, dolore. Eppure è questo il pastore esemplare: un prete scalzo che sa farsi prossimo con la povertà del suo essere e del suo agire». Lasciamo perdere gli scandaletti (?) emergenti qua e là: anche se ce ne sono un po’ troppi, questo potrebbe rientrare nella disonestà fisiologica dei pochi avverso la virtù dei molti. Ma non è proprio così. Alla base di tutto ci sta l’attaccamento al denaro dei chierici. Mi sono sempre chiesto, in senso puramente razionale, di fronte al più altolocato dei cardinali e/o al più umile fraticello che tirano ai soldi, che arrivano addirittura a trattare male i poveri e gli accattoni (ho visto con i miei occhi): ma chi glielo ha fatto fare di abbracciare una vocazione religiosa? Se proprio volevano puntare a mammona non lo potevano fare meglio standosene nell’anonimato degli ignavi?

Qualcuno mi obietterà che la tentazione è sempre forte e poi che forse questi preti accumulano ricchezze, a volte rubano, a fin di bene, per sostenere le loro diocesi, le loro congregazioni, in poche parole per aiutare la Chiesa, arrivando magari a defraudare i poveri per poi elargire loro un obolo riparatore: la giustizia che fa a pugni con l’elemosina e viceversa. Sinceramente non capisco!

Qualcuno mi butterà in faccia l’esigenza che i laici, prima di criticare i preti, dimostrino concretamente di seguire gli insegnamenti evangelici e abbiano il coraggio di togliere le travi dai loro occhi per poi riuscire ad eliminare quelle dei porporati e del clero tutto. È vero! Faccio quindi un discorso generale e globale. Non è accettabile che l’accoglienza ai poveri non sia prassi quotidiana di tutti i preti, di tutti i frati, di tutti i credenti, di tutte le parrocchie, di tutte le comunità religiose, di tutte le associazioni cattoliche. Probabilmente il difetto sta nel manico. È l’impostazione della Chiesa Istituzione a dare i brividi: troppe le commistioni col potere, troppi i privilegi, troppe le concessioni, troppi i vantaggi impropri. È giunta l’ora di reagire con una certa decisione (si badi bene, non cattiveria). Intransigenti coi poveri e comprensivi coi ricchi, rigorosi in materia sessuale ma permissivi nelle ingiustizie sociali. Basta! Signori Cardinali e Signori Preti o cambiate musica o cambiate religione. E voi, signori laici componenti del Consiglio per l’Economia cattolica saprete entrare a gamba tesa a costo di rischiare l’espulsione? La gara è durissima, ma a proposito di gare dure abbiamo degli illustri precedenti di chi ha accettato di andare in croce pur di rompere certi equilibri di potere e certe gerarchie di valori.