L’Occidente amico del giaguaro

Garry Kasparov è stato campione del mondo di scacchi, è un attivista politico e oppositore di Putin che attualmente vive in esilio in Croazia. Ha espresso desolati giudizi sul recente attentato contro Aleksej Navalnyj, oppositore e combattente contro la corruzione in Russia: “Un messaggio chiarissimo dentro e fuori la Russia: nessuna voce contro il regime di Vladimir Putin è più tollerata: tutto ciò è anche conseguenza di un Occidente che non muove mai un dito contro i metodi “mafiosi” del Cremlino”.

L’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica si conclude con una domanda: “Cosa crede succederà adesso?”. Kasparov risponde: “La voce dell’Europa è debole e disunita e negli Stati Uniti c’è un presidente come Donald Trump che, al pari degli altri leader sovranisti, non è certo un’invenzione di Putin, ma di sicuro gioca a suo favore”.

In ordine alla grave situazione della Bielorussia sull’orlo di una guerra civile scatenatasi dopo l’esito di elezioni truccate da parte del regime di Lukashenko, Bernard-Henry Lévy scrive su La Repubblica: “L’Europa deve capire che è sola, ridotta alle sue forze e priva del sostegno di un’America repubblicana che ha rotto con l’eredità antitotalitaria del presidente Reagan. Essa deve tenere conto della terrificante frana che ha fatto sì che si passasse, anche al suo interno, dallo spirito di Jan Patocka e Bronislaw Geremek, a quello di Matteo Salvini, Viktor Orbàn, Jaroslaw Kaczinski e dei fautori della Brexit. E deve sapere che spetta a lei, tuttavia, venire in soccorso e fare in modo che questo evento si trasformi in una rivoluzione di velluto alla Vaclav Havel piuttosto che in una sanguinosa primavera in cui, come a Praga nel 1968, sarebbe affidato ai carri armati di Putin restaurare un ordine post-sovietico”.

Non so se l’Europa potrà e saprà darsi un colpo di reni democratico: la vedo assai dura. L’Unione Europea è troppo ripiegata su se stessa, è intenta a guardarsi l’ombelico, che, peraltro, non è assolutamente l’ombelico del mondo. Se non sappiamo raccogliere il grido di libertà proveniente dal di fuori, difficilmente riusciremo a solidarizzare all’interno. Rinchiudersi nei propri problemi non aiuta a risolverli, ma li esaspera e li colloca in un contesto sbagliato.

Quanto agli Usa non riesco a capire se si stia effettivamente mettendo in moto una situazione nuova in vista delle prossime elezioni presidenziali. È sempre molto difficile intuire gli sviluppi della politica americana. La “cotta trumpiana” sembrerebbe avviarsi a soluzione anche in conseguenza della disastrosa gestione dell’emergenza covid. Temo tuttavia che Trump possa avere sette vite come i gatti: disfarsi di personaggi simili è molto difficile. La candidatura di Joe Biden sembra forte, ma in realtà è debole: è forte di un compromessone fra le diverse anime democratiche e fra diversi interessi economici, ma è debole per uno Stato in cui la politica è vista come scelta radicale e leaderistica. C’è poi l’incognita di un sistema elettorale paradossale, che, dopo avere catapultato quattro anni fa il perdente alla Casa Bianca, potrebbe mantenercelo per i prossimi quattro nonostante tutto. Non vorrei che partisse nell’elettorato americano l’idea di una scelta fra il poco-sicuro e il molto-incerto, una sorta di “meglio stare nei primi danni” anche se sono enormi.

Vedere la politica e la democrazia ridotte in questo modo mi rende triste. Le idee non contano niente, persino i legittimi interessi non trovano sbocchi, tutto si gioca nel fumo mediatico peraltro tutto da riscoprire in base alle ristrettezze del covid.  Trump sta riciclando la sua minestra rancida, Biden sta cucinando una minestra tutta da scoprire. C’è poco da stare a tavola. Non mi resta che fare il tifo più contro Trump che a favore di Biden, come fanno molti tifosi in campo calcistico. Nel recinto di Biden vedo comunque una parvenza di discorso politico, mentre sul lato opposto vedo solo demagogia. Di questi tempi bisogna sapersi accontentare.

Tornando agli oppositori russi e ai contestatori bielorussi, non si illudano dell’aiuto euro-americano. Dovranno fare affidamento sulle loro forze e combattere a mani nude. Con il carissimo amico Gian Piero Rubiconi si parlava spesso di politica, non era la sua vocazione principale, ma se ne interessava e riusciva, come in tutte le cose, a trovare una sua originalità di analisi e di proposta. Era un libero pensatore: aveva idee aperte e progressiste, cosa che lo portò nel 1956 a fare a botte all’università in difesa dei moti rivoluzionari in Ungheria contro il regime comunista. Lo ricordava spesso, proprio per confermare che non era mai stato prigioniero di schemi e che aveva vissuto con la mente puntata sugli ideali di libertà. Ci sarà qualcuno in Occidente disposto a fare a botte a sostegno degli oppositori ai regimi post-sovietici di Putin e Lukashenko? E magari, perché no, contro i populisti e sovranisti amici del giaguaro?