Chi non muore si rivede: Massimiliano Cencelli

Ho seguito, seppur distrattamente e con scarso interesse e molto fastidio, la vicenda del rinnovo delle presidenze delle commissioni parlamentari, che, a quanto pare, ha scatenato un putiferio polemico di “cencelliana” memoria.

L’articolo 72 della Costituzione italiana stabilisce che le commissioni parlamentari siano composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi politici. Le 14 commissioni di Camera e Senato quindi sono una fotocopia in piccolo degli equilibri dell’aula. In esse risiede Il cuore del processo legislativo: è in questi organi che si svolge la maggior parte del lavoro sugli emendamenti, in cui si cercano convergenze politiche e in cui il dibattito entra realmente nel merito delle questioni. La nomina delle presidenze di tali organi non è quindi di secondaria importanza.

Manuale Cencelli è un’espressione giornalistica con cui si allude all’assegnazione di ruoli politici e governativi ad esponenti di vari partiti politici o correnti in proporzione al loro peso elettorale. L’espressione viene spesso usata in senso ironico o dispregiativo, per alludere a nomine effettuate in una mera logica di spartizione in assenza di meritocrazia. Il modo di dire trae origine dal cognome di Massimiliano Cencelli, un funzionario della Democrazia Cristiana, che si esercitò nell’arte di trovare difficili equilibri tra le correnti democristiane.

Da una parte quindi il peso politico dell’appuntamento di cui sopra, dall’altra il rischio di svilirlo a livello di mero mercanteggiamento fra partiti e correnti. Mi sembra sia successo un po’ così. Non me ne scandalizzo, ma mi permetto di non esserne entusiasta.  Probabilmente su questa vicenda si sono scatenati i latenti contrasti fra le diverse componenti della maggioranza parlamentare e di governo.

Purtroppo non è stato decisivo il criterio di scelta della competenza, si è preferito ripiegare sulla mera appartenenza: mai come in questo momento storico occorrerebbe prestare la massima attenzione alla preparazione ed all’esperienza dei candidati a svolgere un ruolo politico. Si tratta di qualità che scarseggiano nell’attuale classe politica, se poi di esse addirittura ce ne freghiamo e premiamo gli equilibrismi partitici e le rappresentanze in senso fideistico, la frittata è fatta.

Da bambino ho chiesto ripetutamente a mio padre di darmi alcuni ragguagli su cosa fosse stato il fascismo. Tra i tanti me ne diede uno molto semplice e colorito. Se c’era da scegliere una persona per ricoprire un importante incarico pubblico, prendevano anche il più analfabeta e tonto dei bottegai (con tutto il rispetto per la categoria), purché avesse in tasca la tessera del fascio e ubbidisse agli ordini del federale di turno. «N’ éra basta ch’al gaviss la tésra in sacòsa, po’ al podäva ésor ànca un stupidd, ansi s’ l’éra un stuppid, ancòrra méj…». A quel punto chiesi: «E tu papa, ce l’avevi quella tessera lì?». «Ah no po’!» mi rispose seccamente.

Forse la nostra giovane e debole democrazia non ha perso questo brutto vizio? Nella mia esperienza politica ho spesso assistito ad episodi di mera e clientelare spartizione di potere a scapito della competenza con danni incalcolabili a carico delle istituzioni e dell’intera società. Non so come sia finita la questione delle presidenze delle commissioni per la maggioranza parlamentare: una dimostrazione di debolezza. Per l’opposizione l’infantile e strumentale soddisfazione di scompigliare i giochi. Per il Parlamento l’ulteriore indebolimento della sua importante e fondamentale funzione. Per la politica un regalo ai qualunquisti sempre in agguato. Per la società un messaggio di sfiducia in un momento in cui ci sarebbe bisogno di iniezioni di fiducia. Per tutti un altro episodio da dimenticare

Alla domenica sera mio padre chiudeva drasticamente e precipitosamente l’avventura calcistica in modo da non lasciare spazio a code pericolose ed alienanti, a rimasticature assurde e penose. L’unica eccezione era la lettura dell’opinione di Curti, pubblicata sul quotidiano locale del lunedì, un commento essenziale ed equilibrato che finiva, quasi sempre, con la solita sconsolata espressione “un’altra partita da dimenticare”. E mio padre chiosava: “Pri tifóz dal Pärma a gh vól la memoria curta”. Purtroppo è così anche per chi tiene in qualche considerazione la politica.