Non un avvocato del popolo, ma un direttore politico

La politica italiana viaggia sul doppio binario, quello della ipercriticità gratuita e faziosa e quello delle sclerotiche reazioni allergiche alle critiche: la discussione ridotta a costante duello fra chi ha tutte le ragioni e chi ha tutti i torti. Una simile impostazione non regge nei rapporti tra maggioranza e opposizione, figuriamoci all’interno delle forze di maggioranza.

«Scusi, Lei è favorevole o contrario?» così chiese un intervistatore al mio professore di italiano, in occasione dell’introduzione del divorzio nella legislazione italiana, con l’assurda coda del referendum voluto a tutti i costi dalla gerarchia cattolica al cui volere la Democrazia Cristiana si piegò per ovvi motivi elettoralistici. «Tu sei un cretino!» rispose laicamente stizzito il professore. Credo non ci voglia molto a capire come l’intervistato rifiutasse il modo manicheo con cui veniva affrontato il problema. Di tempo ne è passato parecchio ed il populismo ha fatto molta strada al punto da ridurre tutta la politica, e non solo, ad un perpetuo referendum pro o contro qualcosa, ma soprattutto pro o contro qualcuno: un continuo strisciante plebiscito strumentalmente azionato, usato per ridurre a zero il dibattito sui problemi e fuorviare i cittadini con la ratifica delle finte ed illusorie soluzioni. Se non si discute, se si viene costantemente posti di fronte ad una facilona scelta di campo, lo sbocco è condizionato dai media e vince chi ha la voce più forte, vale a dire il peggiore.

Noto, da parecchio tempo, come non si riesca più a discutere nel merito dei problemi: tutto viene ridotto a mera diatriba faziosa e velleitaria entro cui si rovinano persino rapporti familiari, parentali, amicali, si distrugge il dialogo rincorrendo fantomatiche certezze.

È bastato che il segretario politico del partito democratico esprimesse perplessità sulla proposta di riduzione selettiva dell’Iva, che ponesse alcune resistenze sul decreto Semplificazioni e che formalizzasse in una lettera la richiesta di attivare il Mes, cioè il fondo europeo per le spese sanitarie, per provocare la reazione stizzita del presidente del Consiglio Giuseppe Conte: cosa vuole costui? dove vuol parare? mi vuol sostituire? Sappia che dopo di me viene il diluvio!

A prescindere dal merito dei problemi sollevati, sul quale peraltro mi ritrovo assai più vicino all’opinione di Zingaretti che alla tergiversazione di Conte, non accetto questa riduzione del dibattito politico a mera ratifica degli indirizzi di governo, come se il governo non fosse espressione dei partiti di maggioranza, ma dipendesse dagli indici di gradimento dei sondaggi commissionati in sede mediatica. Non vedo cosa ci sia di male e di inopportuno se finalmente Nicola Zingaretti chiede al governo di riporre nell’armadio il cilindro del prestigiatore, di sveltire la manovra sulle semplificazioni senza dare sforbiciate a vanvera, di decidere in merito all’utilizzo delle risorse europee messe a disposizione dal fondo salva-stati.

Giuseppe Conte deve ricordare di non essere stato eletto dal popolo, di non essere l’avvocato del popolo e di avere, in base alla Costituzione, il compito di dirigere la politica generale del governo e di mantenere l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri. Un lavoro piuttosto difficile a cui dovrebbe rassegnarsi con santa pazienza e con grande abilità.

Da quanto si può capire credo invece che il presidente del Consiglio attuale abbia la preoccupazione di assorbire in qualche modo le rimostranze del M5S, destreggiandosi in mezzo alla valanga grillina di “no” provenienti dalla forza politica che, volenti o nolenti, lo ha letteralmente inventato in questo ruolo, e quindi di mettere la sordina ai desiderata piddini per non urtare la suscettibilità pentastellata. Il tutto coperto da una esasperante mediatizzazione del suo ruolo e dalla esagerata e inconcludente difesa della propria immagine. Sto forse esagerando, ma forse prima sta esagerando lui.

Il PD non è un mostro di chiarezza e linearità politica, ma pretendere che si rassegni a darla sempre su a Conte, rinunciando ad ogni e qualsiasi iniziativa politica per non disturbare il manovratore mi sembra un po’ troppo. La politica è fatta di mediazione tra i partiti e non di conferenze stampa: parlare meno a microfoni aperti, discutere nelle sedi opportune, decidere in base a compromessi ai più alti livelli possibili. Sappiamo tutti che a questo governo e a questo premier non c’è alternativa: non è un motivo per scansare le critiche ed evitare il dialogo. E poi Giuseppe Conte ricordi che siamo tutti necessari, ma nessuno è indispensabile. Un bagnetto di umiltà non gli potrebbe fare che bene.