L’ossimoro istituzionale

Secondo Massimo Cacciari, in autunno la situazione sociale ed economica sarà drammatica con pericoli per l’ordine sociale. Per stare a galla, il governo dovrà coprirsi dietro il pericolo della pandemia e tenere le redini in qualche modo. Una “dittatura democratica sarà inevitabile”.

Molto simile a questa piccante analisi, quella di Carlo De Benedetti, secondo il quale è la disuguaglianza il punto a cui si possono far risalire i principali difetti della nostra realtà. De Benedetti la vede come causa scatenante del malcontento destinato ad esplodere nel prossimo autunno, che, a suo dire, verrà calmato con mance e polizia, vale a dire con un po’ di ordine pubblico e un po’ di regali.

Il discorso, seppure in via chiaramente provocatoria e previsionale di (troppo) larga massima, si fa pesante e, per certi versi, preoccupante.

L’ossimoro è una figura retorica che consiste nell’accostamento di due termini di senso contrario o comunque in forte antitesi tra loro. Con l’espressione “dittatura democratica”, usata da Cacciari e che fa parte indubbiamente di questa categoria, faccio qualche fatica a capire cosa si intenda. Così come mi mette in difficoltà di comprensione il discorso di “mance e polizia”, fatto da De Benedetti. Considerato il livello culturale di questi personaggi, pur tenendo conto di una loro propensione a stupire l’uditorio, pur condividendo le preoccupazioni per un futuro politico che si preannuncia drammatico, non vorrei che si finisse col giocare a parlare di corda in casa dell’impiccato o, se volete, a spargere sale sulle evidenti ferite.

Mi sembra di intuire che la sostanza sia una notevole sfiducia nella capacità dell’attuale classe politica e dell’attuale compagine governativa ad elaborare un vero e proprio piano per uscire dall’emergenza continua. Non ci si può aspettare altro che di vivacchiare, di smorzare le proteste, di scolmare la pentola? Due importanti chirurghi di mia conoscenza facevano due affermazioni sconcertanti nella loro ironica brutalità. Uno affermava di non avere trovato alcuna traccia dell’anima durante i tanti interventi eseguiti. L’altro, per curare il raffreddore, consigliava di fare una buona scorta di fazzoletti.

Seguendo le tracce di questi luminari della chirurgia, si vuole forse dire che l’anima della politica non esiste più e bisogna ripiegare sulla cura pragmatica del corpo sociale martoriato? Si vuole forse prendere atto che le emorragie di lacrime e di sangue non potranno essere evitate, ma soltanto limitate con i pannicelli delle grida governative, delle rassicurazioni poliziesche e delle regalie di stampo mafioso?

Prima di arrivare a questi punti di sfiducia forse ci sarebbe qualcosa da fare. Rimanendo nell’ambito della medicina, il mio valoroso ed encomiabile medico di base affermava che “non c’è mai niente da fare” ossia che, anche per la più grave delle malattie, c’è sempre qualcosa da fare o almeno da tentare. Andrei quindi adagio con le diagnosi catastrofiche e con le previsioni tragiche. La dittatura democratica mettiamola nella cantina degli ossimori, lo stile politico del cerchiobottismo lasciamolo perdere. Cerchiamo di essere seriamente provocatori e non provocatoriamente cervellotici.

Se è vero, come è vero, che la provocazione consiste in un atto diretto a sollecitare una reazione irritata o violenta, di violenza e di irritazione ne abbiamo anche troppa. Non chiedo atteggiamenti bonari, concilianti e tranquillizzanti, perché non servono. Sarebbe come dire di stare calmo a uno che è incazzatissimo: si arrabbierebbe ancora di più. Però, essere un tantino più (pro)positivi e un tantino meno distruttivi non farebbe male. Pur con tutto il rispetto per il professor Cacciari, per l’ingegner De Benedetti e con tutto lo scetticismo possibile e immaginabile per il premier Giuseppe Conte e il suo governo giallo-rosso.