La leghista Susanna Tuttapanna

La candidata della Lega alle prossime elezioni regionali in Toscana, Susanna Ceccardi, parla di fascismo e antifascismo con nonchalance. Anzi, arriva a dire che secondo lei, semplicemente, oggi essere antifascisti non ha più senso. Ceccardi risponde a un’intervista a Repubblica Firenze e la domanda che le viene rivolta è diretta: “Lei è antifascista?”. La replica, però, non è altrettanto diretta. “Io sono anti-ideologica – afferma la candidata leghista –. E vengo anche io da una storia rossa: ho una famiglia di tradizione di sinistra, il fratello di mio nonno era un partigiano e fu ucciso dai fascisti. Non sono né fascista né antifascista, aveva un senso la domanda allora, nel 1944. Oggi è troppo facile dirsi antifascisti con un nemico che non esiste. Sono dalla parte dei temi”.

Quando si tocca questo tasto non riesco a trattenermi e magari rischio anche di ripetermi. Non voglio restare ancorato ai bei tempi in cui ero modestamente impegnato in politica e, quando si stilava un documento, non mancava quasi mai un accenno alla scelta antifascista: “democratico ed antifascista” era un virtuoso ritornello, che segnava inequivocabilmente il territorio su cui si camminava e si operava politicamente. A me non è mai venuto in mente che fosse una proposizione stucchevole, anzi la consideravo come un distintivo da esibire con orgoglio e impegno. Certo, non bastava a qualificare un programma o un progetto, ma ne era un presupposto essenziale e indispensabile.

“In generale, per fascismo si intende un sistema di dominazione autoritario caratterizzato: dal monopolio della rappresentanza politica da parte di un partito unico di massa gerarchicamente organizzato; da una ideologia fondata sul culto del capo, sull’esaltazione della collettività nazionale e sul disprezzo dei valori dell’individualismo liberale, sull’ideale della collaborazione tra le classi, in contrapposizione frontale al socialismo e al comunismo, nell’ambito di un ordinamento di tipo corporativo; da obiettivi di espansione imperialistica perseguiti in nome della lotta delle nazioni povere contro le potenze plutocratiche; dalla mobilitazione delle masse e dal loro inquadramento in organizzazioni miranti a una socializzazione politica pianificata funzionale al regime; dall’annientamento delle opposizioni attraverso l’uso della violenza terroristica; da una apparato di propaganda fondato sul controllo delle informazioni e dei mezzi di comunicazione di massa; da un accresciuto dirigismo statale nell’ambito di un’economia che rimane fondamentalmente privatistica; dal tentativo di integrare nelle strutture di controllo del partito o dello Stato secondo una logica totalitaria l’insieme dei rapporti economici, sociali, politici e culturali”.

Non necessariamente questi ingredienti devono essere tutti presenti in un sistema politico, ne bastano alcuni, forse anche uno solo, per far scattare l’allarme. Consiglierei pertanto a Susanna Ceccardi di fare un’attenta e scrupolosa analisi delle politiche portate avanti dalla Lega, suo partito di appartenenza, per verificare se non ci sia qualche caratteristica di cui sopra. Non pretendo una seconda guerra partigiana, ma, siccome afferma di essere dalla parte dei temi, provi a passarli in rassegna e probabilmente troverà qualche sgradevole sorpresa (almeno per me).

L’antifascismo dovrebbe essere parte integrante e fondamentale della vita di una persona, a livello etico, culturale, storico, esperienziale, umano prima che politico. Resistenza (nel cuore e  nel cervello), costituzione (alla mano), democrazia (nell’urna) impongono una scelta di campo imprescindibile e indiscutibile: sull’antifascismo non si può scherzare, anche se qualcuno tra revisionismo, autocritiche, pacificazione, colpi di spugna rischia grosso, finendo col promuovere il discorso di chi vuole voltare pagina, non capendo che coi vuoti di memoria occorre stare molto e poi molto attenti e che (come direbbe mio padre) “in do s’ ghé ste a s’ ghe pól tornär “.

Rabbrividisco apprendendo come si possa provenire da una famiglia antifascista per poi sorvolare bellamente sul discorso. Mio padre, prima e più che in senso politico, era un antifascista in senso culturale ed etico: non accettava imposizioni, non sopportava il sopruso, non vendeva il cervello all’ammasso, ragionava con la sua testa, era uno scettico di natura, aveva forse inconsapevolmente qualche pulsione anarchica, detestava la violenza. Ce n’è abbastanza? D’altra parte era nato e vissuto in oltretorrente (come del resto anch’io e  me ne vanto): “l’oltretorrente, il rione dove ho respirato la politica fin da bambino, dove i borghi, gli angoli, gli androni delle case parlavano di antifascismo, dove la gente aveva eretto le barricate contro la prepotenza del fascismo, dove la battaglia politica nel dopoguerra si era svolta in modo aspro e sanguigno, dove il popolo, pur tra mille contraddizioni, sapeva esprimere solidarietà”.

Termino con una frase emblematica di don Andrea Gallo: «Non mi curo di certe sottigliezze dogmatiche perché mi importa solo una cosa: che Dio sia antifascista!». Aggiungo di mio: respingo certe rimozioni storiche, certe equidistanze politiche, certi anti-ideologismi di comodo, pretendo che chi si candida a ricoprire incarichi politici faccia espressa professione di fede antifascista e rinunci aprioristicamente ad ogni e qualsiasi indulgenza, diretta o indiretta, verso il fascismo. Non ce ne sarebbe bisogno, ma aggiungo, a scanso di equivoci, che, se fossi un elettore toscano, non voterei per Susanna Ceccardi.