La concessione della non sfiducia

A prima vista sembrerebbe una questione da risolvere su due piedi e col cuore in mano. Mi riferisco alla diatriba inerente Autostrade per l’Italia S.p.A. (in sigla Aspi). Questa è una società per azioni nata originariamente come società di proprietà pubblica facente capo all’IRI, ma privatizzata nel 1999 e poi costituita nella forma attuale nel 2003. Ha come attività la gestione in concessione di tratte autostradali, nonché lo svolgimento della relativa manutenzione. La società fa parte del gruppo Atlantia, che ne possiede l’88,06% del capitale sociale e che fa riferimento, come principale azionista, alla famiglia Benetton.

Il crollo del ponte Morandi sembrerebbe del tutto o almeno in parte ascrivibile a errori e inadempienze commessi nella manutenzione di quella infrastruttura, di conseguenza sembra quasi una provocazione continuare a discutere se e a quali condizioni revocare o rinnovare la concessione. Tuttavia ogni e qualsiasi decisione dovrebbe avere come presupposto l’accertamento giudiziale delle responsabilità sul piano penale e civile per poi valutare l’opportunità di proseguire un rapporto inficiato dal verificarsi di un fatto che mette gravemente in discussione l’affidabilità del concessionario.

Faccio riferimento di seguito all’obiettiva e sintetica analisi del quotidiano La stampa. Considerata l’eccezionale gravità della situazione, il decreto Genova, che escluse per legge Autostrade dai lavori di ricostruzione del ponte sul Polcevera, non ha violato la Costituzione. Lo ha deciso la Consulta che ha giudicato infondate le eccezioni presentate dal Tar Liguria, che a fine anno scorso, aveva esaminato il ricorso presentato da Autostrade per l’Italia, rimandando gli atti a Roma. La Corte Costituzionale ha fatto un ragionamento più di buon senso che giuridico: detta in modo volgare e brutale, sarebbe stato un po’ come “affidare a chi è in odore di Dracula la costruzione della Banca del sangue”.

Ora però vi è in ballo la gestione del ponte. Era in ogni caso del tutto prevedibile che il destino del nuovo viadotto disegnato da Renzo Piano, l’erede del Morandi crollato il 14 agosto del 2018 provocando 43 morti, si incrociasse ancora una volta col futuro della convenzione che affidò ad Aspi metà della rete autostradale italiana. Non solo perché quella che tecnicamente si chiama «procedura di contestazione di grave inadempimento» ha preso spunto proprio da quegli eventi. Avvicinandosi all’inaugurazione si è posto sempre più pressante il tema del passaggio di consegne. Lo ha fatto apertamente per primo il sindaco e commissario Marco Bucci, preoccupato che gli sforzi per contenere i tempi di costruzione si scontrassero con un ostacolo burocratico. Ed è a lui che il ministro, nella lettera inviatagli, ha risposto, indicando il percorso. Un procedimento particolare, che assegna proprio all’ufficio del commissario la potestà di effettuare tutti gli adempimenti tecnici, compresi quelli, come la verifica di agibilità, che normalmente sarebbero in capo al concessionario.

Nonostante la sentenza della Consulta, però, la strada per azzerare il rapporto dello Stato con Aspi è tutt’altro che spianata. La convenzione resta estremamente tutelante per il concessionario e i vertici di Mit, Presidenza del consiglio dei ministri e Autostrade si confronteranno in primo luogo sull’ipotesi di transazione presentata da Autostrade il 10 giugno. Sul tavolo finiranno altre contestazioni, come le nuove indagini delle Procure di Genova e Avellino. Autostrade potrebbe fare una nuova offerta. Poi, arriverà l’ora delle decisioni.

A livello governativo si scontrano due tendenze. Da una parte la netta ed aprioristica posizione del M5S, sintetizzata dal suo capo politico ad interim Vito Crimi, che su Twitter scrive: “Il ponte di Genova non deve essere riconsegnato nelle mani dei Benetton. Non possiamo permetterlo. Questi irresponsabili devono ancora rendere conto di quanto è successo e non dovrebbero più gestire le autostrade italiane. Su questo il Movimento 5 stelle non arretra di un millimetro”. Dall’altra parte la posizione garantista e trattativista di quanti non si vogliono impantanare in una vertenza senza fine, esplorando i margini per un pur difficilissimo accordo transattivo e valutando rischi e costi di una decisione unilaterale più etica che politica.

Non sono propenso a vedere la politica come il matematico e radicale sbocco di battaglie di principio, ma confesso che in questa vicenda, costi quel che costi, sarei un tantino più deciso nell’azzerare una situazione estremamente imbarazzante sul piano morale e obiettivamente insostenibile sul piano di una seria pubblica amministrazione. Non ho la ricetta pronta nel taschino come ostentano i pentastellati senza preoccuparsi della fattibilità concreta dei loro drastici convincimenti. Tuttavia proseguire un rapporto così importante e delicato senza fiducia nel partner contrattuale mi pare una forzatura notevole.

Abbiamo in passato avuto il governo della non sfiducia, non facciamo anche i contratti della non sfiducia o meglio della sfiducia pensata ma non dichiarata. Mi sovviene al riguardo una gustosa barzelletta. Su un calesse trainato da un asino viaggia un gruppo di suore con tanto di madre superiora. Ad un certo punto l’asino si blocca e non vuol più saperne di proseguire. Il “cocchiere” le prova tutte, ma sconsolato si rivolge alla badessa: «In questi casi l’esperienza mi dice che l’unico modo per sbloccare la situazione, costringendo l’asino a proseguire, è la bestemmia. Mi spiace, ma non c’è altra soluzione…». La suora dopo qualche ovvio tentennamento pronuncia la sua sentenza: «Se è davvero così, non resta altro da fare, ma mi raccomando la bestemmia gliela dica piano in un orecchio…». La concessione quindi revochiamola, ma non troppo…E i 43 morti del crollo del ponte Morandi?