I rutti di Rutte

Il Consiglio europeo straordinario riunito a Bruxelles per cercare un accordo sul prossimo bilancio comunitario e sul Recovery fund per fronteggiare la crisi pandemica si è rivelato un vero e proprio scontro tale da mettere in crisi la stessa sussistenza della Unione Europea. I principali fronti di scontro sono il volume e l’equilibrio tra sussidi e prestiti del Recovery fund, la governance degli aiuti e le correzioni al bilancio 2021-2027. L’Olanda non cede di un millimetro nel chiedere un voto all’unanimità dei leader europei sui piani di ripresa nazionali.

Rutte pretende che sia sufficiente il veto di un singolo Paese, proposta inaccettabile per l’Italia, “incompatibile con i trattati e impraticabile sul piano politico”. A stretto giro è arrivata la dura risposta olandese: l’impraticabilità del voto del Consiglio all’unanimità non “la beviamo”, questa “è una situazione eccezionale, che richiede una solidarietà eccezionale e per la quale si possono trovare soluzioni straordinarie”.

L’Olanda – capofila del fronte dei frugali che vede schierati anche Austria, Svezia e Danimarca – insiste appunto sul voto all’unanimità dei leader sui piani di ripresa nazionali. E di conseguenza sulla possibilità di bloccare con un veto l’erogazione di fondi ai Paesi che non facessero riforme secondo i desiderata dell’Aja. La proposta di mediazione arrivata venerdì scorso dal presidente del Consiglio Ue Michel è stata giudicata insufficiente: prevedeva che la Commissione conducesse una valutazione e il Consiglio la votasse a maggioranza qualificata (55% dei Paesi membri, cioè almeno 15 Paesi su 27, che devono rappresentare almeno il 65% della popolazione Ue). All’Aja non basta perché non si fida della neutralità della Commissione, che in passato avrebbe dato prova di usare “due pesi e due misure” nell’applicazione del patto di stabilità.

Quanto alle sovvenzioni a fondo perduto, “se vogliono che le concediamo invece dei prestiti, allora devono dare garanzie molto forti”, ha ribadito il premier Mark Rutte. Appoggiato dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz secondo cui “è cruciale” che gli aiuti siano usati per “riforme lungimiranti e non per progetti orientati al passato”. Ai nordici però sta a cuore anche e soprattutto che restino invariati o comunque siano fissati “a un livello sufficiente” gli “sconti” sui versamenti al bilancio Ue di cui hanno goduto finora.

Non so come finirà: probabilmente uno straccio di accordo lo troveranno. Abbiamo però forse toccato il fondo riguardo allo spirito di solidarietà. È l’Europa degli egoismi nazionali e del perseguimento dei propri interessi particolari. Il futuro europeo, a queste condizioni, lo vedo veramente fosco. I paesi cosiddetti frugali vogliono ridurre al minimo possibile il loro contributo al bilancio comunitario e, nello stesso tempo, pretendono un diritto di veto per la concessione degli aiuti ai vari stati europei ed un potere decisivo di controllo su come verranno utilizzati.

“Frugale” è colui che è moderato, semplice, parco nel mangiare e nel bere, colui che è amante della vita sobria e parsimoniosa. Avaro è chi, per un eccessivo attaccamento al denaro o un esagerato senso del risparmio, è estremamente restio a spendere, non solo per altri ma anche per sé, restio a fare, a dare, a concedere. Penso quindi si debba parlare non tanto del gruppo di “frugali”, ma del gruppo di “avari”.

Siamo arrivati al dunque europeo che dovrebbe chiamarsi solidarietà, ai fondamentali della Ue e alla regola d’oro di mio padre: “S’a t’ tén il man sarädi a ne t’ cäga in man gnan’ ‘na mòsca”. Dobbiamo innanzitutto avere atteggiamento autocritico per noi italiani che tendiamo a chiuderci nel nostro guscio, illudendoci di poter bastare a noi stessi: pura follia sovranista. Poi possiamo e dobbiamo anche stigmatizzare l’atteggiamento dei benestanti e benpensanti, una sorta di usurai in senso politico, che alzano l’asticella della condizionalità ad un punto tale da rendere impossibile ricorrere agli aiuti. Stiano molto attenti, perché anche per loro, prima o poi arriverà la necessità di essere aiutati e le loro mani chiuse non potranno ricevere gli aiuti. Un tempo, per concludere certi pessimistici e sconfortanti discorsi, si diceva: “Povera Italia!”. Oggi possiamo tranquillamente aggiungere: “Povera Europa!”.