Finti pretesti, veri pregiudizi, diffuso razzismo

“Io non sono razzista, ma se un soggetto straniero, che vuole vivere in Italia, non si comporta bene, lo sbatto fuori su due piedi e lo riporto nel suo paese”. Quante volte ho sentito questo lapidario ragionamento (?) e mi ha sempre insospettito tale implacabile atteggiamento, che, a mio giudizio, nasconde una ostilità di base: un modo elegante per essere razzisti. Sì, perché un motivo per espellere un immigrato non è difficile da trovare. Se è appena arrivato e per mangiare fa dell’accattonaggio, se ne deve andare perché non ha voglia di lavorare e finirà col fare lo spacciatore e/o il ladro. Se lavora, se ne deve andare perché ruba agli italiani il poco lavoro che c’è.  Se sbarca con estrema fatica sulle nostre coste, è un potenziale diffusore di malattie e di coronavirus in particolare e quindi non possiamo tirarci in casa dei potenziali focolai infettivi.

In questi giorni però siamo arrivati al culmine. Ho letto su La stampa: Quindicenne aiuta una donna per strada e un passante lo scaccia: “Mulatto, torna al tuo paese”. È successo a Grugliasco (Torino). La mamma del ragazzo, indignata, si è sfogata su Facebook: «Mio figlio ha solo 15 anni. Ha visto una donna svenire per strada, l’ha presa al volo, ha cercato di ricordare le nozioni di primo soccorso apprese alle medie». E mentre il ragazzino si dava da fare per aiutare la donna, un passante lo ha spinto via malamente: «Mulatto, spostati, tornatene al tuo paese». «Io sono fiera di lui – continua mamma Katia –. A 15 anni ha fatto quello che poteva per aiutare una persona che aveva bisogno, senza esitare».

Il sindaco di Grugliasco, Roberto Montà, informato dell’episodio, ha reagito così: «Un pessimo esempio di maleducazione e inciviltà. A forza di mandare messaggi razzisti e divisivi ormai qualcuno pensa che episodi simili rientrino quasi nella normalità». L’episodio, tra l’altro, «ha un che di ridicolo, perché conosco il ragazzo e ha la cittadinanza italiana: è italianissimo, forse più di chi l’ha offeso».

Un lupo e un agnello, erano giunti al medesimo ruscello spinti dalla sete; il lupo era superiore (in un luogo più alto) l’agnello di gran lunga in basso. Allora il lupo, sollecitato dalla sua insaziabile fame, suscitò un pretesto per litigare. «Perché», disse, «mi hai reso torbida l’acqua che bevevo?». L’agnello, timoroso, di rimando: «In che modo posso di grazia fare ciò che ti lamenti, lupo? L’acqua scorre da te alle mie labbra». Quello spinto dalla forza della verità: «Hai sparlato di me, sei mesi fa». L’agnello rispose: «In verità non ero nato». «Tuo padre, in verità, aveva sparlato di me». E così afferra l’agnello e lo sbrana per un’ingiusta morte. Questa favola è stata scritta per quegli uomini, che opprimono gli innocenti con finti pretesti.

Al posto del lupo mettiamo quel sospettoso e sbrigativo italiano e al posto dell’agnello quell’ingenuo e generoso ragazzino di colore. Provo a parafrasare la fiaba di Fedro alla luce dell’episodio di cronaca.

Un maturo cittadino di Torino e un quindicenne ragazzino di colore si incontrano in strada mentre il ragazzo soccorre una donna in difficoltà. Allora il primo, sollecitato dal suo pregiudizio razzista, cerca un pretesto per attaccare briga. «Perché», dice, «non lasci in pace quella donna, non vedi che sta male». Il ragazzo, timoroso, di rimando: «Ho visto questa donna svenire, l’ho presa al volo». Il torinese ribatte: «Stavi approfittando della situazione, vergognati!». Il ragazzo risponde: «Ho solo cercato di ricordare le nozioni di primo soccorso apprese alle scuole medie che ho frequentato». «Dovevi chiamare i soccorsi e non ti dovevi permettere di toccare quella donna!». «Ma io…ho agito in buona fede…». «Voi immigrati siete tutti uguali…». «Ma io veramente sono un cittadino italiano…». A quel punto l’italiano si ricorda di essere di pelle bianca e così afferra il ragazzino e gli grida: «Mulatto, spostati, tornatene al tuo paese! Non mi interessa niente dei tuoi diritti!». Questo episodio viene riportato e, in parte condito ad hoc, per tutti coloro che cercano finti pretesti per esprimere il loro vero razzismo.