Tra il programmare e il concertare c’è di mezzo…il governo Conte

Gli Stati generali, nella Francia prerivoluzionaria, erano l’assemblea generale dei rappresentanti dei tre ordini o stati, cioè il clero, la nobiltà e il terzo stato. Gli S.g. furono convocati per la prima volta da Filippo il Bello (1302); a partire dal 1484 ottennero di essere convocati periodicamente e di intervenire nella deliberazione e ripartizione delle imposte. Dopo il 1614 una nuova convocazione, che fu anche l’ultima, ebbe luogo nel 1789, e portò alla trasformazione degli S.g. in Assemblea nazionale costituente. Le elezioni dei rappresentanti agli S.g. procedevano attraverso una prima designazione di elettori locali (mediante gli Stati provinciali), i quali si riunivano nel capoluogo, elaboravano i cahiers de doléances ed eleggevano i deputati all’Assemblea generale. Durante la convocazione, i tre ordini si riunivano separatamente per redigere un cahier unico basato su quelli provinciali, e un solo deputato per ogni stato parlava nell’Assemblea generale.

Ho esordito con questo preciso richiamo storico perché ritengo che la storia abbia sempre qualcosa da insegnarci e perché dovremmo usare le parole conoscendo il loro preciso significato. Il governo in questi giorni ha convocato gli Stati generali dell’economia e intorno a questa iniziativa si sta facendo un gran baccano: c’è chi ironizza sulla presuntuosa ed ampollosa iniziativa lasciando intendere che finirà in un nulla di fatto; c’è chi ascrive questa iniziativa alla smania di protagonismo del premier Giuseppe Conte; c’è chi la vede come il tentativo di buttare fumo negli occhi a chi aspetta quel qualcosa di concreto che tarda ad arrivare; c’è chi teme la dispersiva e inconcludente elencazione di temi e problemi nel solito libro dei sogni; c’è chi la considera un’edizione riveduta e scorretta di precedenti esperienze politiche; c’è chi la snobba per timore che possa fare il gioco dell’attuale maggioranza di governo o addirittura del movimento cinque stelle alla ricerca di un difficile rilancio in chiave elettoralistica.

Tutte le critiche, seppure aprioristiche, debbono essere considerate anche perché possono evitare qualche pericoloso scivolone in corso d’opera. All’inizio si è voluto dare all’Europa l’idea che l’Italia stia facendo sul serio e voglia mettersi in grado di utilizzare al meglio gli aiuti che le verranno forniti. Poi non ho idea di come si svolgeranno e articoleranno i lavori. La scommessa è molto forte, l’occasione è irripetibile, la situazione è drammatica. Torno di seguito a fare i conti con la storia.

Il primo centro-sinistra, negli anni sessanta del secolo scorso, varò l’idea della programmazione economica. Per programmazione economica si intende il complesso degli interventi dello Stato nell’economia, realizzati spesso sulla base di un piano pluriennale (in questo senso il termine si alterna, nell’uso, con pianificazione). Nella terminologia corrente, e anche da parte di alcuni studiosi, si è però soliti distinguere tra pianificazione e programmazione, tra piano e programma, riferendosi con il primo termine ai paesi socialisti e con il secondo ai paesi a economia di mercato. Il centro sinistra ebbe tra i suoi punti più rilevanti appunto la realizzazione di un progetto di programmazione economica, che tuttavia ebbe ben pochi riscontri concreti, perché si rivelò una prospettiva sproporzionata rispetto alle possibilità di intervento politico in un sistema capitalistico seppure vissuto in chiave riformista.

La concertazione è l’attività con cui il governo e le parti sociali, negli anni novanta sempre del secolo scorso, dopo aver fissato di comune accordo degli obiettivi condivisi, si adoperarono per individuare strumenti e percorsi utili al loro raggiungimento. Con concertazione si indica dunque il metodo della partecipazione delle grandi organizzazioni collettive degli interessi a percorsi decisionali pubblici in materia di politica economica e sociale.

Faccio di seguito riferimento a quanto ha scritto il sindacalista Raffaele Bonanni su questo passaggio storico molto importante e significativo. “Ciampi è stato il Presidente del Consiglio della concertazione triangolare: tra il Governo, le associazioni degli imprenditori e quelle dei lavoratori. Era il tempo di Tangentopoli e appena l’anno prima avevamo vissuto quel terribile 1992 che aveva fatto saltare interamente il sistema politico in uno scenario che ancora oggi presenta cupi interrogativi. Le istituzioni e le regole della democrazia richiedevano profonde modificazioni. La situazione economica era grave e welfare e spesa pubblica avevano bisogno di drastici tagli per alleviare le forti sofferenze del bilancio dello Stato. Il rischio di non rispettare il Trattato di Maastricht era altissimo con pesi sociali ed economici conseguenti non sopportabili. Il 23 luglio del 1993 si giunse, però, a un accordo di concertazione, frutto dell’azione comune e condivisa tra i soggetti istituzionali e sociali: un accordo voluto fortemente da Ciampi. Si arrivò a disegnare un quadro di riferimento per il contenimento della spesa pubblica, una importante ristrutturazione del welfare, una politica di contenimento delle tariffe pubbliche, in cambio di contratti collettivi che puntassero agli aumenti salariali attraverso la crescita di produttività e venissero protetti attraverso il ricalcolo a valle di ciò che era stato eroso dalla inflazione. In un momento così drammatico, Ciampi ricercò l’unità del Paese, offrendo a tutti un orizzonte comune. Egli partiva dalla convinzione che nei momenti gravi della comunità nazionale, i soggetti collettivi – istituzionali e civili – devono mettere da parte le differenti valutazioni, gli antagonismi, gli interessi divergenti e darsi soluzioni comuni attraverso il dialogo e la progettazione unitaria sul da farsi. Soprattutto la classe dirigente, in luogo di contrapposizioni continue e ricerca di soluzioni miracolose, farebbe bene a trarre spunto dallo spirito repubblicano di quella esperienza. Nei momenti cruciali per le sorti dell’Italia le soluzioni si trovano insieme: il potere politico, le parti sociali e le aggregazioni civili più considerevoli”.

Sarebbe più che opportuno che l’attuale compagine governativa desse una rispolverata a questi passaggi storici. La situazione odierna renderebbe più che necessario il ricorso, non tout court e con tutti gli adeguamenti del caso, alle metodologie di cui sopra: programmare e concertare sono due verbi che dovrebbero consentire di varare i grandi progetti di riforma e di rilancio di cui tutti parlano e che la Ue aspetta prima di sganciare i miliardi di euro che sembra intenzionata a stanziare. Non c’è molto tempo per discutere, occorre fare presto anche se presto e bene stanno male insieme. Non c’è niente da gufare e niente da enfatizzare e/o da celebrare, bisogna lavorare con grande serietà ed alacrità. Speriamo bene…