Proviamo a parlare coi fatti

Generalmente chi accusa il premier ed il suo governo di evanescenza (qualcuno sostiene che gli Stati Generali si siano rivelati Stati generici), chiede il passaggio ai fatti, ma finisce spesso col sommergere di parole le già troppe parole governative. Forse Giuseppe Conte farebbe bene a parlare quando avesse veramente qualcosa di preciso e concreto da proporre (ancor meglio se quel qualcosa fosse già stato concordato tra i ministri e tra le forze di maggioranza). Però chi lo massacra di critiche non brilla per concretezza: la stessa accusa di mancanza di fatti, se non è accompagnata dai fatti, rischia di essere un mero supplemento di parole al vento.

Ecco perché ho ascoltato con sorpresa e interesse le proposte formulate dal noto e brillante giornalista Beppe Severgnini: ha individuato le priorità nella scuola e nella sanità. Si tratterebbe a suo dire di sistemare, mettere a norma e potenziare gli edifici per le scuole di ogni ordine e grado; di allargare e attrezzare al meglio i reparti di pronto soccorso degli ospedali; di inquadrare correttamente ed opportunamente dal punto di vista economico e funzionale gli operatori sanitari. Sarebbe un modo inattaccabile ed indiscutibile per impiegare al meglio le risorse finanziare in arrivo (almeno si spera) dalla Ue. Nessuno potrebbe obiettare sull’utilizzo dei fondi europei, per il quale, bisogna pur ammetterlo, non siamo purtroppo esenti da critiche per il passato remoto e recente (spesso non abbiamo attinto ai fondi pur stanziati e spesso siamo stati trovati in castagna per quanto concerne la correttezza nelle destinazioni).

Non ho idea a quanto potrebbe ammontare il fabbisogno per realizzare quanto propone Severgnini, immagino che comunque occorrerebbe parecchio tempo per intervenire concretamente ed in modo esauriente, ma abbiamo a portata di mano un’occasione che non possiamo permetterci il lusso di perdere. Sulla scuola si sta scatenando una bagarre notevole che sta letteralmente mettendo in croce prima del tempo la ministra Azzolina (non un mostro di autorevolezza e competenza, bisogna pur dirlo). Ho leggiucchiato le proposte, peraltro ancora in divenire, del governo: non mi sembrano così scriteriate e inadeguate. C’è sicuramente molto da discutere e da perfezionare (in fretta perché settembre è dopo domani), ma nemmeno da stracciarsi le vesti cominciando il solito rito piazzaiolo delle proteste coinvolgenti tutte le categorie di cittadini interessate.

Se in Italia non si può parlar male della mamma e di Garibaldi, ci si deve sfogare a parlar male della scuola. Tutti i ministri che si sono cimentati nella riforma scolastica hanno fatto cilecca. Ci sarà pure un perché. Probabilmente ci sono molti perché: dal corporativismo sindacale alla burocratizzazione strutturale, dallo scaricabarile delle famiglie al sociologismo datato degli studenti, dalla scarsità di risorse all’utopismo fragile degli esperti in materia.

La intervenuta necessità di ripensare il Paese daccapo impone di ripartire dai bisogni essenziali e indubbiamente la scuola e la sanità sono i primi fra questi. La politica accorci il più possibile i tempi decisionali, gli operatori si rendano disponibili alla gradualità, ai cambiamenti e ai sacrifici necessari, la gente abbia la pazienza di aspettare un po’ (non troppo) prima di giocare a mosca cieca con le proposte governative. Le piste suggerite da Beppe Severgnini meritano attenzione e risposte. Con esse si dovrebbe andare sul sicuro, anche se molti metteranno sul tappeto altri problemi importanti ed urgenti, che non credo però possono stare alla pari con quelli suddetti.