Laicismo e integralismo fanno il male della scuola

Don Raffaele Dagnino, lo storico, spigoloso, originale e stupendo prete della nostra città e dell’Oltretorrente in particolare, aveva uno spiccato senso laico della religione, meglio dire della fede.  Era contrario alla scuola privata, anche quella cattolica. “Sarebbe comodo, diceva, avere una scuola a propria misura ideologica. Nossignori, bisogna avere il coraggio di mettersi a confronto con i non credenti, testimoniare la fede in campo aperto. E poi chi ha detto che i cattolici siano migliori degli altri ed abbiano qualcosa di meglio da insegnare”, ma lasciamo perdere…

Aveva perfettamente ragione se consideriamo la scuola cattolica, a livello individuale come la fuga integralistica e benpensante verso un’educazione di stampo religioso, a livello di famiglia cristiana come la delega concessa ad una istituzione superiore per assolvere agli obblighi battesimali di educazione alla fede, a livello comunitario cattolico come un distintivo eclatante della propria identità, a livello societario come uno dei segni irrinunciabili della presenza politica dei cattolici nella società civile.

Il tempo ha trasformato la scuola cattolica in un progetto educativo ammesso e riconosciuto dalla Costituzione italiana, diventando un vero e proprio patrimonio culturale per tutta la società, per i credenti e i non credenti. Anche la tentazione elitaria si è via via stemperata assieme alla sussiegosa pretesa di essere non “una” ma “la” scuola per i cattolici e per i laici più o meno devoti.

Il discorso è tornato d’attualità in questo travagliato periodo: la crisi pandemica ha posto in gravi difficoltà tutto il sistema scolastico, ma, in modo ancor più drammatico, la scuola privata, di cui quella cattolica è parte preponderante. Il sostegno delle famiglie si sta facendo difficile per il loro impoverimento; i fondi erariali hanno insufficienze ed inefficienze spaventose; la tentazione di effettuare uno smembramento scolastico sulle ali della digitalizzazione imperante è grande e fuorviante; il rischio di un ritorno, nei momenti difficili, a schematismi culturali e ad ideologismi datati è dietro l’angolo, se non addirittura sul vialone del traguardo. C’è da preoccuparsi, perché se scarichiamo sulla scuola dubbi, incertezze, diatribe e conflitti, troviamo il modo di farci del male ben al di là di quello già fatto dal coronavirus.

I rigurgiti di un becero laicismo, che peraltro fanno da contrappeso all’istinto, conservativo o conservatore come dir si voglia, della Chiesa nelle sue istituzioni (senza contare che la scuola cattolica non è una proprietà privata del Vaticano, ma una ricchezza per tutto il Paese), mettono a repentaglio un patrimonio di idealità, risorse umane, esperienze storiche, ricchezze materiali e immateriali. Il ragionamento classico del laicismo è quello di nascondersi dietro il riconoscimento costituzionale, condizionato però alla mancanza di oneri aggiunti per lo Stato. Se ci si ferma alla lettera del dettato costituzionale si prende però un granchio: bisogna fare un bilancio economico e culturale dei rapporti fra scuola statale o comunque pubblica e scuola paritaria privata, cattolica e non. Come in tutti i bilanci esistono costi e ricavi e il giudizio si dà sul saldo fra di essi.

Il sostegno alla scuola privata, in qualsiasi forma, come erogazioni dirette, come aiuti alle famiglie, come agevolazioni fiscali,  comporta indubbiamente un onere per le casse dello Stato, ma dall’altra parte del conto c’è una copertura educativa che lo Stato non sarebbe in grado di garantire senza ulteriori e forse maggiori spese, c’è un apporto economico dei privati che ben venga a sostenere un servizio squisitamente pubblico, c’è un virtuoso e concorrenziale rapporto  tra pubblico e privato che raccoglie tutte le risorse disponibili per impostare un sistema scolastico integrato e adeguato alla crescita della società.

In questo momento lo Stato, come qualche testa politica assai poco realistica e lungimirante e molto calda e faziosa sta perseguendo, non deve chiudersi in scelte ideologiche, ma aprire lo sguardo sulla necessità di difendere e sviluppare la scuola vista nel suo complesso e nel suo pluralismo progettuale e gestionale. D’altra parte lo Stato ha da tempo adottato le necessarie precauzioni per garantire nella scuola privata gli standard qualitativi, che sfociano nel riconoscimento del titolo di scuola paritaria.  Smettiamola quindi di litigare pretestuosamente in base al concetto di laicità, che è un discorso che dovrebbe superare queste sterili contrapposizioni, per andare al sodo della scuola scritta non con la “q” di quisquilia, ma con la “c” di coinvolgimento, a cui, vista come servizio pubblico, possono contribuire e lavorare anche i privati.