Il gerovital per il sistema paese

Era il 07 gennaio 1973. Iniziavo con una certa trepidazione la mia vita professionale: una pila di registri da vidimare finalizzati alla tenuta della contabilità iva, la nuova imposta sul valore aggiunto, che doveva rivoluzionare il nostro sistema fiscale. E di Iva mi occupai per tutta la mia “carriera” in mezzo a bolle, fatture ed autofatture.

Quando entrò in vigore l’iva, fece un certo scalpore l’introduzione di un documento strano, la cosiddetta autofattura, che in certi casi il compratore si vedeva costretto ad emettere al posto del venditore. Un mio simpatico interlocutore, impressionato da questa novità legislativa, quando mi poneva un problema in materia di imposta sul valore aggiunto, finiva col chiedermi in ogni caso: «Co’ disol dotôr, ag fämmiä n’autofatura?». Oggi, al termine degli stati generali dell’economia, si dice che sia giunto il momento per «reinventare l’Italia» perché sia «moderna, sostenibile, inclusiva, verde», ma anche di pensare a misure concrete per far fronte all’emergenza come l’ipotesi di «abbassare un po’ l’Iva». La novità, assai costosa per le casse dello Stato dovrebbe servire a rilanciare i consumi con un occhio particolare ai settori del turismo, della ristorazione, dell’abbigliamento e dell’automobile.

È curioso come l’introduzione dell’iva abbia tenuto, in un certo senso, a battesimo il mio inserimento nel mondo del lavoro ed ora la sua diminuzione diventi un modo per cambiare il mondo dei consumi e segni, anche per me, un cambiamento di vita, se è vero, come è vero, che mi sento una persona diversa in un mondo diverso. Una combinazione, uno scherzo del destino o un segno epocale?

Durante le mie battaglie etiche c’era nel mirino “il consumismo”, un diabolico e perverso meccanismo di distrazione personale e di massa. Oggi me lo ritrovo tra i toccasana per riavviare il motore dell’economia, che ha grippato col coronavirus. Come cambia il mondo! E poi, servirà veramente a ridare fiato alle trombe economiche o saranno solo campane a morto. C’è indubbiamente una forte discrasia tra l’esigenza di rivoltare l’Italia come un calzino e la decisione di mettere una toppa sul vestito vecchio. Prima che l’abito nuovo possa essere confezionato e pronto per l’uso bisogna pure coprirsi in qualche modo, quindi proviamo a ripartire dai consumi, poi si vedrà.

Giuseppe Conte al termine dei tanto chiacchierati stati generali dell’economia ha affermato che l’Italia va rifatta nelle sue infrastrutture, nella burocrazia, nel fisco. Il premier ha riassunto in «tre grandi direttrici» la bozza di idee partorite da 150 incontri in nove giorni. Tre imperativi categorici: modernizzare l’Italia, renderla più inclusiva, compiere una robusta transizione energetica. Non si può certo dire che il premier voli basso. Non si accontenta di un lifting qualsiasi, vuole sottoporre il Paese a una cura di ringiovanimento. Un tempo si parlava di “gerovital” una preparazione farmaceutica sviluppata durante gli anni ’50 e dichiarata a suo tempo come capace di effetti antietà sull’uomo. Durante la sua massima notorietà il Gerovital venne usato da persone del jet set, come John F. Kennedy, Marlene Dietrich, Kirk Douglas e Salvador Dalì.

Speriamo che dalle definizioni roboanti si scenda a programmi concreti. Mio padre non poteva soffrire coloro che le vogliono raccontare grosse, i mistificatori della realtà a tutti i livelli, dalla politica alla più bassa quotidianità. Basti dire che prima di salire su un’automobile guidata da un’altra persona era solito, soprattutto se non la conosceva bene, chiedere provocatoriamente: «Sit bon äd guidär?». L’altro ci rimaneva male e chiedeva il perché di una tale domanda. Al che lui rispondeva candidamente: «Acsí se par cäz sucéda quel a t’podrò dar dal bagolón». Forse porrebbe la stessa domanda, bonariamente provocatoria, a Giuseppe Conte. Speriamo sia in grado di rispondere coi fatti e non a parole.  Perché dei parolai mio padre non voleva saperne: “I pàron coi che all’ostaria con un pcon ad gess in sima la tavla i metton a post tutt; po set ve a vedor a ca’ sova i n’en gnan bon ed far un o con un bicer…”.