I geyser del razzismo

Le immagini dell’arresto culminato nella morte a Minneapolis di un giovane afroamericano sono effettivamente scioccanti e inquietanti. Era scontato che questo fatto avrebbe innescato una forte ondata di protesta, mentre la tensione in tutto il paese dilaga. Un ragazzo di 19 anni è stato ucciso a Detroit, in Michigan, da spari provenienti da un Suv che ha sparato contro i manifestanti. Il ragazzo è deceduto in ospedale. A Oakland un militare del Servizio di protezione federale è morto e un altro è rimasto ferito. I due agenti hanno riportato ferite di arma da fuoco. Almeno 7.500 manifestanti sono scesi in strada e hanno messo a ferro e fuoco la città. La polizia ha riferito di atti di vandalismo, furti, incendi e aggressioni contro gli agenti. Proteste anche ad Atlanta, in Georgia, dove da tre giorni sono in corso violenti scontri e nella notte i manifestanti hanno attaccato il quartier generale della Cnn. Ma si è continuato a protestare anche in oltre 20 città, da Washington a New York City, Denver, Houston, San Jose e Bakersfield, in California, Chicago. Negli scontri a Los Angeles sono rimasti feriti due agenti.

A Minneapolis potrebbe anche arrivare l’esercito – il Pentagono ha preallertato in via precauzionale reparti di polizia militare – mentre alcuni colpi d’arma da fuoco sono stati sparati contro alcuni agenti nei pressi del quinto distretto di polizia ma non ci sono stati feriti. Tensione anche davanti alla Casa Bianca dove si sono radunate centinaia di persone che invocano giustizia per la vittima e denunciano la brutalità della polizia. Le proteste hanno costretto la Casa Bianca al lockdown. I servizi segreti, per sicurezza, infatti hanno deciso di chiudere la residenza presidenziale Usa anche alla stampa dotata di «hard pass». Il presidente Donald Trump in giornata ha twittato che se i manifestanti fossero riusciti a superare la cancellata «sarebbero stati accolti dai cani più feroci e dalle armi più minacciose che io abbia mai visto: e questo sarebbe stato il momento in cui la gente si sarebbe fatta veramente male». Trump si è quindi complimentato con gli agenti del Secret Service per essere stati non solo «totalmente professionali» ma anche «molto cool». Poi ha raccontato: «Ero dentro, ho visto ogni mossa e non avrei potuto sentirmi più sicuro. Hanno lasciato i manifestanti gridare e inveire quanto volevano». Ma pronti a intervenire, evidentemente. «Molti agenti del Secret Service aspettano solo di agire – ha scritto ancora Trump raccontando quello che gli sarebbe stato detto dagli addetti alla sua sicurezza: «“Mettiamo i giovani in prima linea, signore, loro lo adorano ed è un buon addestramento”».

Intanto la famiglia di George Floyd contesta l’esito dell’autopsia condotta sull’uomo, che esclude la morte per asfissia o strangolamento, e chiede che venga condotto un secondo esame, indipendente. La famiglia dell’afroamericano morto dopo che un agente di polizia gli ha tenuto il ginocchio sulla gola per nove minuti, il tutto ripreso in un video, si è rivolta al medico legale Michael Baden perché conduca una seconda autopsia. «La famiglia non si fida di nulla che arriva dal dipartimento di polizia di Minneapolis – ha detto il legale Ben Crump – : la verità l’abbiamo già vista». Secondo i risultati preliminari dell’autopsia, infatti George Floyd non è morto né per asfissia né per strangolamento: «Gli effetti combinati dell’essere bloccato dalla polizia, le sue preesistenti condizioni di salute (ipertensione arteriosa e problemi coronarici) e potenziali sostanze tossiche hanno contribuito alla sua morte». Quando mio padre commentava la morte di una persona di cui non si trovava o, meglio, non si voleva trovare la causa, concludeva sarcasticamente: «As védda che quälcdòn al gà preghè un cólp…».

Evidentemente negli Stati Uniti cova sotto la cenere un sentimento razzista, che ogni tanto viene a galla con l’accanimento delle forze di polizia e causa reazioni violente che sfociano in autentiche e diffuse sommosse.  Ci sono malattie sociali che non scompaiono mai, tendono a cronicizzarsi, i malesseri restano latenti, sembra che non esistano più, invece improvvisamente esplodono. È il caso del razzismo! Il clima politico instaurato da Donald Trump offre un ideale brodo di coltura per questi ritorni di fiamma: questo pazzesco presidente sparge a piene mani benzina sui mali della società, come se puntasse ad un paradossale fuoco purificatore. Non mi stupisco che le forze di polizia, già intrise di una mentalità repressiva ed autoritaria, respirino quest’aria e si lascino andare ulteriormente, sentendosi legittimate nell’assumere atteggiamenti da “angeli sterminatori”.

E questa sarebbe la grande democrazia che dovrebbe caratterizzare il mondo intero? Ma fatemi il piacere…Un tempo dagli Usa arrivavano mode socio-culturali e indirizzi politici, che venivano poi applicati nel resto del mondo occidentale. Poi il berlusconismo ha fatto scuola in proprio al punto che il trumpismo lo ha copiato e presentato in modo riveduto e scorretto. Attenzione che i collegamenti si stanno ripetendo: populismo e sovranismo, punti determinanti nell’agenda trumpiana, stanno dilagando ovunque e non possono che proporre frutti avvelenati come appunto il razzismo.

Anche una parte d’Europa è inquinata da queste derive, più di quanto si possa immaginare: il problema infatti non è limitato alle sgangherate scorribande di Salvini in Italia, Le Pen in Francia, Farage in Gran Bretagna e Orban in Ungheria. L’affermazione dell’ultradestra fino ad ora non è bastata a cambiare le regole del gioco a Bruxelles e il timone è rimasto nelle mani di popolari e socialisti. Ma il coronavirus ha diminuito le difese immunitarie e l’egoismo nazionalista ammantato di rigorismo fiscale si sta propagando.

Mia sorella sosteneva che gli italiani sono affascinati dall’ «uomo forte». Lei lo diceva con la sua solita schiettezza e in modo poco aulico ed elegante, ma molto efficace: «Gli italiani sono rimasti fascisti». Ritornando da un breve viaggio di studio nelle istituzioni europee, affermò brutalmente: “Sono tutti fascisti”. Credo che un po’ di ragione ce l’avesse. Chissà cosa direbbe oggi alla luce del trumpismo, del populismo e del sovranismo. Lo immagino e non mi azzardo a scriverlo per non esagerare alle sue spalle. Cosa c’entrano tutti questi ragionamenti con l’uccisione di un afroamericano a Minneapolis? C’entrano eccome, meditate gente, meditate.