Un po’ di provocazione fa male, ma può servire

Se non erro, siamo a cinque e non è escluso che, nel giro di qualche giorno, si arrivi a sei. Mi riferisco ai modelli di autodichiarazione per gli spostamenti consentiti in tempo di coronavirus. È solo la punta dell’iceberg della confusa azione di contenimento della pandemia. Ammetto di voler fare di seguito una solenne e “sconclusionata”  provocazione, estremizzando i discorsi per far emergere qualche verità o meglio per portare a galla cose che in molti pensano e nessuno osa ammettere.

Confesso di non credere nella fattibilità e nella ammissibilità di una riapertura graduale: i dati epidemiologici, per farla breve, non la consentono. Il giorno 02 maggio si sono registrati 474 decessi, di cui 192 della giornata e 282 di aprile, il giorno successivo i decessi si sono portati a 177. I dati lasciano parecchi dubbi. A pensare male si fa peccato e spero sinceramente di non azzeccarci. Siamo al bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, che non serve comunque a giudicare realmente e seriamente una situazione disastrosa.

I provvedimenti in questa delicatissima materia funzionano se sono drastici e generali, diversamente si crea una confusione pazzesca in cui tutto rischia di essere consentito.  Mi auguro di sbagliare, ma nei prossimi giorni potremmo avere ripercussioni piuttosto gravi e spiacevoli. Non si può trovare un compromesso onorevole tra difesa della salute e difesa del sistema economico: siamo ancora in piena epidemia e occorre privilegiare l’incolumità dei cittadini. Il discorso economico al momento dovrebbe essere affrontato con poderosi aiuti finanziari ai soggetti più colpiti, più deboli e meno protetti. E le risorse? Bisogna trovarle e anche alla svelta! Tutte le possibili fonti vanno attivate: l’emergenza si affronta con misure emergenziali e non con mezze misure emergenziali. Dobbiamo entrare nella mentalità di essere già tutti più poveri e di contribuire a salvaguardare la salute di tutti.

Nel frattempo si arrivi ad una sorta di screening di massa, con semplici analisi fatte a tutti e possibilmente aggiornate a ragionevoli intervalli: non sono stati fatti i tamponi nemmeno a tutti coloro che hanno smaltito la malattia a domicilio. Non si scappa, per tenere sotto controllo la situazione bisogna controllarla e non fare chiacchiere informatiche.

In più di due mesi, da quanto mi è dato intuire, non si è fatta significativa disinfestazione del suolo e dei luoghi pubblici (forse era utile: non credo che in Cina lo facessero solo per fare scena). Siamo arrivati alle mascherine per tutti (?) con enorme e incredibile ritardo. I casi sono due: o ci rassegniamo ad una lunga ulteriore quarantena con enormi sacrifici o scegliamo di rischiare tutto sull’altare dell’economia per paura di impoverirci.  Tenere i piedi in un due paia di scarpe non è possibile, se non sperando nei miracoli (perché no…) o in terapie e vaccini a brevissimo termine (cosa impossibile, se non rientrante nella categoria dei miracoli…).

Il discorso dell’impoverimento generale è inevitabile e quindi meglio affrontarlo e gestirlo di petto che subirlo dopo manovre dilatorie e illusorie. Se mi si deve tagliare la pensione, lo si faccia subito e almeno potrà servire a qualcosa, meglio che arrivarci a babbo morto, a frittata fatta. Questi sono i discorsi per gli italiani: non quelli arzigogolati dei governanti, non quelli demenziali e strumentali delle opposizioni, non quelli (im)possibilisti delle regioni in vena di protagonismo d’accatto. Sono stanco di girare intorno al problema, di sentire proposte che valgono poco più di un baffo, di assistere ad assurde bagarre politiche ed istituzionali, di essere coinvolto in un dibattito che lascia i morti che trova, anzi rischia di aumentarli. Forse la verità nuda e cruda non è stata mai detta durante questi mesi, in modo più o meno abile e sofisticato stiamo continuando a vivere di balle politicamente (s)corrette, che stanno in poco posto. Il posto-letto carente negli ospedali e il posto-lavoro in bilico nelle fabbriche.