Se a stonare è il direttore del coro…

“Attraverso i nostri comportamenti possiamo facilitare il ritorno del virus ma vi garantisco che se continuiamo ad osservare alcune indicazioni – come lavarsi spesso le mani e mantenere la distanza di sicurezza – potrebbe anche non esserci una seconda ondata”. È quanto ha detto la virologa Ilaria Capua, intervenendo in diretta a DiMartedì, in onda su La7, in merito a una eventuale nuova ondata epidemica.

Il presidente dell’Istituto superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, in audizione alla Camera dei Deputati, avverte: “Per gli scenari che immaginiamo, in autunno, una patologia come il Sars-cov-2, si può maggiormente diffondere e si può confondere con altre sintomatologie di tipo respiratorio” e “la famosa ipotesi della seconda ondata è collegata a questo, che, dal punto di vista tecnico scientifico è un dato obiettivo”.  Perciò, “con l’arrivo dell’autunno “c’è una probabile possibilità di maggiore diffusione” del coronavirus.

In un’intervista a “La Stampa”, Walter Ricciardi consigliere del ministro della Sanità, circa un mese fa ha dichiarato: “Uno studio, presentato il 24 aprile dal sottosegretario alla sicurezza interna Usa alla Casa Bianca, mostrerebbe che il virus soffre il caldo umido. Al chiuso, con 24 gradi e 20% di umidità può resistere su una superficie per 18 ore, con 35 gradi e un tasso di umidità dell’80% la sua permanenza non supera l’ora. Se poi si è al sole bastano 24 gradi e lo stesso livello di umidità perché scompaia in due minuti. Attenzione perché il virus circolerà comunque lo stesso e dovremo continuare a rispettare le regole igieniche e sul distanziamento. Però potremo conviverci meglio”.

Tre voci piuttosto elegantemente contraddittorie nello sconclusionato coro di scienziati ed esperti. E si vorrebbe che la politica avesse le idee chiare? Se ascolta questi illustri e logorroici papaveri non può che andare a sbattere. Si fa il processo a tutte le componenti della nostra società che hanno agito e agiscono nella pandemia. Ascoltiamo in breve la vox mediatica.

La politica è la più colpevolizzata, sia a livello centrale che periferico. Il governo Conte viene fotografato come intrappolato nelle pastoie burocratiche, indebolito da continui contrasti interni tra le forze politiche di maggioranza, incapace di adottare una linea univoca e credibile per affrontare una situazione gravissima, che potrebbe diventare disastrosa. Le regioni vengono brutalmente assimilate ai capponi di Renzo: litigano fra di loro e col governo centrale, scaricano colpe che hanno, si stanno rivelando dei veri e propri catafalchi burocratici di cacciariana definizione. Le opposizioni giocano al tanto peggio tanto meglio e non si schiodano dalle polemiche sovraniste e populiste. Le forze sociali sono portate più a rappresentare, se non a fomentare, le proteste corporative che a dialogare costruttivamente con i pubblici poteri.

L’unione europea viene vista con sospetto e diffidenza nella sua storica contrapposizione fra rigoristi e sviluppisti, le due fazioni che, nell’emergenze attuale, meglio potrebbero essere definite egoisti e solidaristi. In Oltretorrente vi era una famiglia, con la quale la mia famiglia era leggermente imparentata, definita “i barnerd”, dal nome del loro capo Bernardo: parlavano sempre di soldi, non erano molto ricchi, ma piuttosto avari e considerati, con un certo ironico disprezzo, una mosca bianca nel panorama sociale novecentesco del quartiere popolare in cui abitavo. Ebbene, quando vedo riuniti i commissari europei, non resisto alla tentazione di assimilarli ai “barnerd”, alle prese con i miliardi da (non) distribuire. Sembra che alla fine qualche decina di miliardi venga scucita, ma non basta a superare gli euroscetticismi.

E la gente? Fino ad un certo punto il comportamento dell’italiano medio aveva sorpreso per correttezza e senso civico, poi il tempo ha mutato gli atteggiamenti e siamo tornati alle solite menate: questa volta più che di anti-italianismo si tratta di anti-giovanilismo. La luna di miele con la gente comunque è finita e siamo passati al tritacarne mediatico.

In questo articolato e complicato processo, si salvano solo due categorie: gli operatori sanitari e gli scienziati. I primi sono stati giustamente, anche se forse un po’ esageratamente, santificati e portati agli onori degli altari: non c’è commentatore che, in premessa, non dia un’incensata a medici e infermieri, i quali forse più che di incenso avrebbero bisogno di oro. Ma lasciamo perdere. I secondi, vale a dire i detentori della conoscenza scientifica, dalle cui labbra tutti tendiamo a pendere, vengono intervistati a raffica forse perché fanno audience. Nessuno si azzarda ad esprimere giudizi sul loro operato: in quello che dicono ci sta tutto e il suo contrario, mentre ci dovrebbe stare la obiettiva verità provata. Ma ce n’è poca e allora giù opinioni in libertà, come quelle da cui siamo partiti. Sembra di essere sulle montagne russe: ad una previsione ottimistica fa immediatamente seguito un’analisi pessimistica e viceversa.

Personalmente sono molto meno generoso nei loro confronti, mi irritano le loro dispute. Ho sempre avuto grande rispetto ed ammirazione per il mondo scientifico ed accademico fintanto che rimane a coltivare il proprio orto. Quando si sposta in campo aperto, rischia di brancolare nel buio. Ecco perché, consapevole di esagerare, credo che, tutto sommato, chi esce peggio dalle dispute sul coronavirus siano proprio gli scienziati, che dovrebbero dare il la e invece sono stonati come campane. In chiesa mi infastidiscono le persone stonate che vogliono cantare a tutti i costi, rischiano di fuorviare tutti. Può succedere così anche per la scienza, che, quando non ha risposte chiare e plausibili, dovrebbe tacere e dedicarsi umilmente al lavoro per raggiungerle.