La pubblicità è l’anima dell’anti e del dopo virus

La pubblicità sarà l’anima del commercio, ma è anche la distruzione dell’anima delle persone. Si fa un gran parlare di pubblicità ingannevole, vale a dire quella che in qualunque modo, compresa la sua presentazione, sia idonea ad indurre in errore le persone fisiche o giuridiche alle quali è rivolta o che essa raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia idonea a ledere un concorrente”. Purtroppo la pubblicità è ingannevole per sua natura, può eventualmente solo essere arginata nella sua più negativa aggressività, ma, forse, meno ingannevole appare e più sostanzialmente è tale. Si tratta di un perverso meccanismo sistemico, che tutto metabolizza in chiave materialistica e consumistica. Attualmente sono in atto tre subdole, ma clamorose, manifestazioni di questo andamento: la pubblicità perbene, quella a fin di bene e quella contro il male.

La prima categoria comprende la valanga di messaggi, un battage a favore delle organizzazioni benefiche, quella del “chiama subito per salvare un bambino che sta morendo di fame o di malattia”, quella che mostra immagini toccanti delle miserie del mondo per farci credere di poterle risolvere con l’erogazione di una piccola tassa mensile.  Un modo sbrigativo per mettere a posto le coscienze e alimentare una fitta rete di enti il cui primo obiettivo è quello di esistere e di autofinanziarsi. Una sorta di carità ingannevole.

La seconda forma riguarda i mezzi di comunicazione di origine e carattere religiosi, tra cui spicca TV 2000, la televisione dei vescovi. Qui non ci si fa scrupolo di abbinare i messaggi promozionali a messe, eventi religiosi, omelie, rosari, preghiere varie. Il fine giustifica i mezzi: per finanziarsi e catturare l’audience a sfondo religioso ci si può (?) tranquillamente interrompere e “andare in pubblicità” tra un’intervista a un prete e una ad un vescovo oppure in testa e in coda ad un rosario. La messa, financo quella del papa, val bene una reclame.  In questi casi non si riesce a capire se i messaggi pubblicitari facciano da traino all’evento religioso o se la trasmissione religiosa funzioni come spinta allo spot propagandistico. Un orribile, stomachevole e simoniaco mix di sacro e profano.

La terza combinazione è relativa al coronavirus. Tutti ne parlano e quindi anche la pubblicità si è adattata e la battaglia antivirale è diventata parte integrante della reclamizzazione dei vari prodotti e servizi: della serie “consumate e vedrete che il virus se ne andrà”. Al demenziale slogan del “tutto andrà bene” si aggiunge la speculazione del “tutto fa brodo, anche il coronavirus”. E poi andiamo cianciando con un altro slogan: “niente sarà come prima”, mentre è in atto il tentativo di metabolizzare il virus a livello consumistico, depotenziandolo in chiave psicologica e affaristica. Il nostro sistema economico è una macchina “tritasassi” che non si ferma di fronte a niente: tutto diventa strumentale e funzionale al profitto. Sarebbe interessante scoprire quanto il bieco interesse economico (dalla produzione e commercializzazione delle mascherine ai laboratori per le analisi di tamponi e sierologiche, alla selezione dei settori da chiudere ed aprire operata più sulla base di spinte corporative che a difesa della salute pubblica) abbia condizionato e stia tuttora condizionando l’azione di contrasto all’epidemia.

Basta vedere come sta reagendo la gente alle pur timide riaperture previste a termini di legge (?): tutti al parco, tutti in strada, tutti fuori in una carnevalata fuori stagione, tana per tutti e il virus vada a quel paese (il nostro paese). La nostra società è questa. Passata la paura, gabbata la serietà. Aspetta… provo ad ascoltare la parola del papa, lui è l’unico che mi può aiutare a difendermi non tanto dal virus, ma dal virus dell’anti e del dopo virus. Niente da fare: c’è la pubblicità e allora…