Guerra aperta fra “pataglie” sporche

Il vittimismo è da sempre il cliché reattivo di chi, sentendosi e vedendosi pesantemente e continuamente attaccato, anziché difendersi nel merito dalle accuse, preferisce buttarla in rissa metodologica, atteggiandosi a capro espiatorio di manovre sporche e strumentali. Quando a scuola qualche alunno non combina niente di buono in una materia, è solito affermare che l’insegnante ce l’ha con lui e così rimuove il problema ed evita definitivamente di studiare e di rimediare ai propri voti scarsi.

Anche in politica è una linea di difesa adottata da coloro i quali vengono messi alle corde e preferiscono uscire dall’angolo chiedendo l’intervento dell’arbitro per i colpi bassi a loro dire sferrati dall’avversario. In questa pratica è abile maestro Matteo Salvini: la usa continuamente soprattutto per (non) rispondere alle accuse dei magistrati, che a suo giudizio sarebbero prevenuti e politicizzati. Negli ultimi tempi è infatti finito ripetutamente nel mirino dei magistrati per i comportamenti adottati in materia di immigrazione, per contenere cioè il fenomeno migratorio con prese di posizione adottate sul filo del rasoio tra scelte politiche di stampo razzista e veri e propri reati quali abuso di atti d’ufficio e sequestro di persona nei confronti dei migranti lasciati in mare.

Non so se questi reati siano stati effettivamente commessi dall’allora ministro deli Interni, staremo a vedere come andrà a finire, fatto sta che Salvini più che dimostrare di avere agito nel pieno possesso delle sue facoltà e prerogative governative, preferisce nascondersi dietro la presunta invadenza dei giudici che ce l’avrebbero con lui.  Forse desidera paradossalmente di essere giudicato e condannato per dimostrare fino in fondo il suo teorema vittimistico.

Non ci mancava altro che venisse alla luce un dialogo a dir poco sui generis tra magistrati che si confrontano a ruota libera su Matteo Salvini. Ne è nato un caso dopo la pubblicazione, di alcune intercettazioni dell’ex presidente dell’Anm che vedono coinvolto l’ex ministro dell’Interno, accusato di sequestro di persona nel caso dei migranti soccorsi dalla nave militare italiana Gregoretti nell’agosto del 2019. La Verità ha infatti pubblicato i contenuti di alcune chat risalenti al 2018 in cui alcuni magistrati parlano dell’allora ministro dell’Interno. La chat più citata vede coinvolti il procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma e Luca Palamara: “Mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando”, aveva scritto Auriemma nell’agosto 2018 quando di Salvini si parlava soprattutto per la chiusura dei porti. E ancora: “Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell’Interno interviene perché questo non avvenga”, diceva Auriemma. A un certo punto Palamara pronuncia la frase che La Verità ha pubblicato in prima pagina e che altri giornali riportano in maniera leggermente differente, ma in cui Palamara sostiene (nelle varie versioni) che “ora” Salvini “va attaccato”. Infine Auriemma: “Comunque è una cazzata atroce attaccarlo adesso perché tutti la pensano come lui. E tutti pensano che ha fatto benissimo a bloccare i migranti che avrebbero dovuto portare di nuovo da dove erano partiti. Indagato per non aver permesso l’ingresso a soggetti invasori. Siamo indifendibili. Indifendibili”. In un altro colloquio citato da alcuni giornali, il leader leghista viene chiamato “quella merda di Salvini” da Palamara.

Un perfetto assist alla linea vittimistica salviniana, che ha addirittura chiesto l’intervento del presidente della Repubblica affinché sciogliesse il Consiglio superiore della magistratura. A nulla valgono le scuse del giudice Palamara, la retrocessione delle affermazioni a semplici battute tra colleghi e le spiegazioni del suo ragionamento complessivo al di là delle frasi incriminate. Non condivido la difesa d’ufficio dei magistrati a dir poco chiacchieroni, fatta dai giustizialisti a senso unico, come il pur bravo e documentato giornalista Marco Travaglio. Siamo d’accordo non è successo niente di stravolgente, però la magistratura non può farsi sorprendere con le dita nella marmellata fino a questo punto. L’autonomia della magistratura è un diritto costituzionale, ma è anche un dovere ben preciso e i giudici questo brutto difetto di intromettersi nelle vicende politiche ce l’hanno. E non è solo questione di libera espressione delle proprie idee, come può fare qualsiasi cittadino: qui ci puzza di bruciato e non basta fare tardiva e sdrammatizzante ammenda.

Naturalmente si sono scatenati anche i forzati del garantismo ai quali non è parso vero di infangare tutto l’operato della magistratura nei confronti soprattutto di Silvio Berlusconi e dei suoi amici. Quando si ricoprono certi incarichi e si hanno precise responsabilità, si tace, non si può scherzare nei rapporti tra giustizia e politica. Il vittimismo a Salvini, in questo caso, è stato servito su un piatto d’argento dai magistrati che si sentono dei padreterni al di sopra delle regole.  Luca Palamara è un magistrato di indiscussa fama: è stato consigliere del CSM e presidente dell’Associazione nazionale magistrati, grazie ai suoi innumerevoli traguardi professionali. Anche per questo, l’accusa di corruzione a suo carico è stata un fulmine a ciel sereno. Sì, perché oltre tutto Palamara è chiacchierato e messo sotto inchiesta per un giro poco edificante di favori. Adesso esce quanto sopra detto: la frittata è fatta, non tanto per lui che ne risponderà nelle sedi proprie, ma per la magistratura la cui immagine esce piuttosto ammaccata e per Salvini a cui è stato fornito un alibi perfetto per sgattaiolare populisticamente fuori dagli schemi istituzionali e trasferire la politica, ancora una volta, al bar dell’angolo.