Alla ricerca della manna nel deserto

Gli ipercritici commentatori lamentano che dei 55 miliardi stanziati dal governo con il decreto rilancio non si veda ancore il becco d’un quattrino. Un conto è stigmatizzare la pletora burocratica che ostacola l’esecuzione dei provvedimenti legislativi ed amministrativi, un conto è pretendere l’effetto immediato di un’autentica pioggia di misure articolate e complesse, distribuite un po’ su tutte le categorie economiche e sociali più in difficoltà e sofferenza per i devastanti effetti della pandemia tutt’ora in atto.

Purtroppo ci vorrà il suo tempo affinché le decisioni adottate possano tradursi in aiuti, sostegni e spinte alla ripresa economica. Non si tratta di una manna nel deserto, che, peraltro, consentiva solo di sopravvivere al punto da venire a noia degli esigenti e incontentabili beneficiari.

Se le critiche intendono chiedere un auspicabile disboscamento burocratico, sfondano porte aperte sullo storico e gravissimo problema del funzionamento della nostra macchina amministrativa. Se le lamentele riguardano il modo barbaro di legiferare usando un linguaggio incomprensibile e contorto al punto da creare fin dall’inizio una sorta di rigetto nel cittadino medio costretto a rivolgersi agli specialisti del caso per capirci ancora meno, non si può che essere d’accordo nel sottolineare come l’occasione straordinariamente grave potesse rappresentare un interessante banco di prova per avvicinare il linguaggio dei governanti a quello dei governati.

Credo però che si voglia la botte piena, la moglie ubriaca e l’amante brilla: una sorta di bacchetta magica che non è nelle possibilità di qualsiasi politico investito da questa alluvionale emergenza. Ben vengano le critiche, ma quando hanno un filo logico e una motivazione chiara e leale. Fanno quasi ridere o piangere le minacce di scioperi e manifestazioni di piazza per protestare contro la mancata attenzione governativa alle urgenti problematiche del momento.  Era previsto che la situazione potesse deflagrare a livello sociale anche con lo scoppio di veri e propri tumulti. Finora la popolazione ha dimostrato grande senso di responsabilità e molta pazienza: non so fino a quando durerà e speriamo che non sfoci in una maxi rissa sociale alimentata da mestatori nel torbido e da politicanti senza scrupoli.

La critica è il sale della democrazia se rimane all’interno dei canoni del sistema democratico ed istituzionale, il rischio che possa debordare è reale ed estremamente pericoloso. Diamoci quindi una regolata: tutti, dal governo centrale in giù. Il dibattito è troppo ed insistentemente falsato da strumentalizzazioni e pressapochismi. Sono poche le voci che obiettivamente si sforzano di analizzare la situazione e di proporre qualcosa di concreto. Gufare sulle proprie disgrazie è uno squallido espediente polemico, che prima o poi si ritorcerà contro chi ne fa uso. Tutti sono alla spasmodica ricerca di attenzione mediatica: il bue dice cornuto all’asino, se per bue intendiamo i professionisti dell’audience che criticano la pur evidente confusione comunicativa del governo. Viviamo in una società mediatica dove è quasi impossibile fare dell’informazione equilibrata ed anche i governanti cadono nel trappolone. D’altra parte molto spesso i cittadini stessi corrono dietro a chi le spara più grosse: anche gli ebrei nel deserto si lamentavano e sicuramente ci sarà stato chi aizzava le loro proteste, arrivando a far loro rimpiangere il vitto assicurato dalla cattività in Egitto.

Il Parlamento non è stato effettivamente un grande protagonista del dibattito, stretto fra l’urgenza di intervenire da parte del governo e l’urgenza di speculare da parte dell’opposizione. Quando finalmente la discussione è arrivata nelle aule parlamentari abbiamo assistito a indegne gazzarre che fanno male alla democrazia. In effetti il coronavirus intacca anche i polmoni della democrazia costretta ad essere ricoverata in terapia intensiva: speriamo ne esca senza subire danni irreversibili.