Ora e sempre RESISTENZA

Don Giovanni Barbareschi, sacerdote impegnato nella Resistenza, protagonista del movimento scoutistico delle “Aquile Randagie”, sosteneva: “Non ci sono liberatori. Ci sono uomini che si liberano e diventano liberi”. Questo stupendo motto, scritto peraltro nelle pagine del giornale clandestino “Il ribelle”, che circolava a costo della vita dei promotori nonostante i divieti di regime e comunicava idee e discorsi di libertà in pieno clima fascista, ci invita a celebrare con grande impegno la festa della Liberazione.

Mio padre mi ha insegnato che l’antifascismo nasceva dalla ribellione delle coscienze degli uomini liberi, era un atteggiamento culturale prima che politico. Egli era figlio dell’Oltretorrente, ne conosceva tutti gli abitanti, contava moltissimi amici nel quartiere, ne aveva frequentato le osterie (dove si osava parlar male del fascismo e di Mussolini), le barberie (luogo allora di ritrovo e del gossip più antico e leale), aveva cantato e discusso di musica nei covi popolari e verdiani, aveva respirato a pieni polmoni un’aria sana e democratica e quindi non poteva farsi intossicare dal fascismo.

Dopo mio padre ecco mio zio Ennio: un sacerdote di fulgida vocazione senza alcun tratto di clericalismo, un uomo profondamente legato alla storia della sua famiglia senza esserne condizionato, un prete dei giovani senza fondo tinta giovanilista, un democratico senza tentazione di protagonismo, un antifascista generoso senza faziosità, un partigiano convinto senza partigianeria, un uomo di Chiesa con una mentalità laica, un cristiano capace di portare la croce della sofferenza amando la vita senza indulgere al dolorismo.

Amo collocare l’antifascismo e l’anelito alla libertà entro queste inossidabili coordinate famigliari anche per evitare il rischio di perderne tutta la freschezza e l’attualità in un momento storico molto particolare, che potrebbe anche indurci a sottovalutarne la portata considerandolo un fatto anacronistico in tempo di coronavirus. Al contrario, quando si vivono gravissime difficoltà, bisogna rifarsi alle risorse provenienti dalla cultura e dalla storia, collaudate a prova di bomba e quindi anche di coronavirus.

Dobbiamo sforzarci di trasferire i valori resistenziali e costituzionali nel contesto socio-politico attuale, idealità che forse, anzi certamente, abbiamo tradito strada facendo fino a sfornare un mondo ingiusto, discriminatorio, egoistico e persino razzistico. Occorrerebbe ripartire dalle lettere dei condannati a morte della Resistenza per capire lo scempio che abbiamo perpetrato. Se il coronavirus mette impietosamente a nudo tutti i difetti del nostro sistema di vita senza darci una via d’uscita, il grido dei martiri della Resistenza ci rimprovera ma ci offre l’alternativa negli ideali di giustizia, uguaglianza, solidarietà e progresso civile.

Raccogliamo questa sfida e proviamo a ricominciare daccapo: lo stare chiusi in casa diventi la prigione in cui maturarono i sogni resistenziali. Poi verrà di nuovo il tempo della battaglia secondo tempi e modalità tutte da scoprire. Non illudiamoci che ci venga a liberare un vaccino. “Non ci sono liberatori. Ci sono uomini che si liberano e diventano liberi”.