L’insensato rientro nel disordine politico

Papa Francesco ha risposto al grido accorato proveniente dalla mia trepidante tristezza: mi ha detto che dal Risorto e dal suo Spirito scaturisce la vera gioia, che non è l’entusiastica reazione a fatti eclatanti e meravigliosi, ma la presa di coscienza della salvezza eterna, che ci è stata conquistata e donata. Un anziano frate cappuccino, che aveva la pazienza di ascoltare i miei peccati e di perdonarli in nome di Dio, mostrava una grande e invidiabile serenità d’animo al punto che gli chiesi ragione di una gioia così grande, emergente dal suo volto, dalle sue parole e dal suo comportamento. Mi rispose: “Gesù non è venuto in terra per fare una passeggiata, è venuto a salvarci e noi siamo salvi, quindi…”.

Con i polmoni pieni di questo ossigeno papale, mi tocca ripiombare, seppure col vaccino spirituale della gioia pasquale, nella quotidianità improntata alla battaglia contro il coronavirus. Dopo aver riflettuto astrusamente sull’impossibilità di tornare alla normalità di vita, se per normalità intendiamo il solito andazzo socio-economico, mi ritrovo ad essere immediatamente smentito e intristito dalla politica frettolosamente rientrata nei normali e penosi canoni della stucchevole polemica fra i partiti.

Anche davanti al disastro che stiamo attraversando, il dibattito politico non fa un passo costruttivo verso il presente ed il futuro, ma ripiega malauguratamente verso il passato delle vuote e strumentali contrapposizioni. Sono sostanzialmente tre i terreni su cui si sta scatenando la dannosa polemica: il rapporto con l’Unione Europea, lo scarico delle responsabilità, gli indirizzi per avviare la ripresa.

Sul fronte europeo c’è in atto una gara a spingere sui contrasti, ad essere i più antieuropei del momento, a vincere a tutti i costi la stitichezza finanziaria della Ue. Che si debba pretendere un diverso atteggiamento in sede comunitaria è cosa buona e giusta. Il problema sta nel come ottenerlo: non certo mandando improbabili ultimatum, non certo lasciando trapelare la riserva mentale di agire per nostro conto, non sfogando la rabbia accumulata nel tempo per l’inefficienza e, ancor prima, l’insensibilità verso i problemi della agognata crescita che sono ultimamente diventati i problemi della onorevole sussistenza, non gareggiando infantilmente a chi possiede la voce più stentorea o a chi è dotato degli attributi più prestanti. La conseguenza di questa competizione in patria è la debolezza nella competizione in Europa. Presentarsi ai tavoli europei in ordine sparso è il modo migliore per rimanere con un pugno di mosche in mano.

Che vi siano stati errori, ritardi, inadeguatezze, incompetenze, debolezze e incertezze nell’azione di governo a livello centrale e periferico è una realtà piuttosto evidente. Ammetterlo è doveroso da parte di tutti, ma adesso non è il momento di esercitarsi in una reciproca caccia alle streghe per guardare chi ha nell’occhio la trave più fastidiosa e clamorosa. Sono tragicomiche certe diatribe sulla intempestività e confusione degli interventi, sulla sottovalutazione dei pericoli: mi sembra che tutti debbano abbandonare le pietre che tengono in tasca in considerazione dei peccati che hanno evidenziato nei loro comportamenti.  Uso una similitudine alquanta brutale: non si può litigare con i moribondi e i morti in casa. Se ci sarà da litigare lo si faccia quando la situazione lo permetterà ed avrà trovato un minimo di serenità.

Che sia problematica, al limite dell’impossibile, una graduale ripresa delle attività economiche e dei rapporti sociali è chiaro e preoccupante. Affrontare queste difficoltà in un clima di scontro a livello, politico, istituzionale e geografico è un vero e proprio suicidio assai poco assistito. In Veneto si può passeggiare, seppure con certe precauzioni; in Lombardia e Piemonte si deve rimanere sigillati; nel resto d’Italia è consentito qualche timido accenno alla riapertura, vedi librerie e abbigliamento per bambini. Mi sento un regionalista critico anche se per nulla pentito, ma ipotizzare un ritorno alla normalità a macchia di leopardo, a strappi autonomistici mi sembra pura follia. Scatenare una rissa istituzionale, politica e persino ideologica su questo terreno è da criminali.

Sia chiaro che non voglio ridurre la politica ad un generico vogliamoci bene, ad una deriva pseudo-scientifica, ad una concentrazione di poteri anti-democratica, ad una silenziosa e rituale pantomima funebre. Vorrei soltanto che la triste occasione facesse l’uomo politico più serio e responsabile. I cittadini finora hanno avuto molta pazienza, hanno dimostrato comprensione e disciplina, hanno capito la gravità della situazione e vi si sono adeguati seriamente. Non deludiamoli perché sarebbe un vero e imperdonabile peccato sul piano etico, un autentico disastro a livello politico-istituzionale, un pessimo viatico per l’improbo viaggio economico-sociale che ci aspetta.