Come volevasi dimostrare: la montagna europea ha partorito il topone, il compromessone. In politica la ricerca del compromesso è scontata, ma occorre vedere come e perché ci si arriva. Prendo l’esempio della Costituzione Italiana. Forse non è un compromesso? Certamente sì, ma ai livelli più alti, vale a dire partendo dai valori presenti nelle culture di ispirazione cattolica, socialista e liberale. Non è facile mediare in tal senso, ma se si prescinde dai valori, cosa rimane su cui cercare un accordo politico? Gli interessi di bottega: anche se la bottega è grande e prestigiosa, sempre bottega rimane e gli affari che ne escono sono o carta straccia o carta vetrata, roba che dura poco, irrita, fa baccano, ma non costruisce.
In Europa, dove le istituzioni comunitarie non contano e sono spesso ridotte a parodia democratica, gli Stati membri cercano un accordo, non lo trovano, entrano nella bottega dell’Eurogruppo e contrattano su tutto anche sul disastro del coronavirus. C’è chi vince e chi perde? Alla fine perdono tutti, perde soprattutto la Comunità europea. Nel comunicato finale l’Eurogruppo riconosce la necessità di una «strategia coordinata e globale» per far fronte alla pandemia di Covid 19, che costituisce «una sfida senza precedenti con conseguenze socio-economiche molto gravi» e si impegna a fare «tutto il necessario per affrontare questa sfida in uno spirito di solidarietà». Sembra un libro dei sogni: la verità è che il piano approvato, peraltro ancore in attesa del via libera del Consiglio europeo, è solo un primo passo, non ancora sufficiente, per sostenere le economie dei Paesi più colpiti dal virus come Spagna e Italia, che sono anche quelli con minore spazio di manovra fiscale.
Faccio riferimento ai resoconti giornalistici più autorevoli ed attendibili. Il compromesso raggiunto dall’Eurogruppo, che aveva ricevuto il mandato a trovare un accordo con le proposte economiche per rispondere all’emergenza coronavirus dopo il nulla di fatto del Consiglio europeo tra i capi di Stato e di governo del 26 marzo, è composto da 23 punti. L’Europa rende disponibili circa mille miliardi di euro di risorse: 500 miliardi subito, altri 500 miliardi in un futuro prossimo attraverso il lancio di un fondo per la ripresa o Recovery plan con «strumenti finanziari innovativi» non meglio specificati.
L’intesa non ha vincitori e vinti, ma come tutti i compromessi assomiglia piuttosto a un pareggio, dove tutti i Paesi possono portare qualcosa a casa. Il ministro delle Finanze olandese Woepke Hoekstra tira acqua al suo mulino: «C’è una maggioranza contro gli eurobond e la condivisione del debito all’Eurogruppo. È stato fatto questo testo che è «deliberatamente vago» e riguarda gli strumenti finanziari innovativi. Ognuno ci può leggere quello che vuole, ma è importante non ingannare noi stessi: è impossibile leggerci qualcosa che si riferisca ad una condivisione del debito», così afferma con vomitevole cinismo l’olandese assai poco volante.
In pratica, i pilastri dell’accordo tra i ministri europei dell’area economica e finanziaria sono quattro: la Bei, la banca europea degli investimenti, prestatore e garante di fondi e liquidità per le aziende; il Sure, ovvero la nuova formula di cassa integrazione e assicurazione per i lavoratori che possono perdere il lavoro per la grave crisi economica; il Mes, per sfruttare i finanziamenti del fondo al fine di sostenere l’assistenza sanitaria diretta e indiretta così come i costi relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi provocata dal Covid 19; infine, è stata accolta la proposta francese di creare un fondo finanziato da obbligazioni comuni per finanziare il rilancio dell’economia: si tratta del fondo per la ripresa economica.
Detta così sembrerebbe una cosa seria e storica: aiuti per 1.000 miliardi di euro. Il commissario europeo agli affari economici Paolo Gentiloni ha sottolineato che si tratta di «un pacchetto di dimensioni senza precedenti per sostenere il sistema sanitario, la cassa integrazione, la liquidità alle imprese» e per evitare una divergenza tra le economie più colpite dal virus. E non ha tutti i torti.
Ma ci sono due equivoci di fondo: rimane un concetto limitato e limitante dell’uso del Mes, il cosiddetto “fondo salvastati”, confinato a sostegni per l’emergenza sanitaria, cioè aiuti di mera sussistenza; la ripresa economica rimane a mezz’aria senza una condivisione finanziaria e con strumenti tutti da inventare. Occorrerebbe una spinta eccezionale e ci si accontenta di una seppur robusta spintarella, bisognerebbe andare tutti in una stessa direzione, mentre invece ognuno va per i fatti suoi, senza rompere i rapporti, ma senza buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Punto cruciale dell’accordo è l’uso del Meccanismo europeo di stabilità o fondo salva Stati. Per i Paesi del Nord, il Mes era lo strumento principale a cui attingere per far fronte alla crisi del coronavirus. L’Olanda avrebbe voluto legare le linee di credito a una forte condizionalità, cioè prestiti in cambio di riforme e rigidi controlli, come è avvenuto in passato per la Grecia. La Germania era più morbida e fin dalla vigilia, attraverso il suo ministro delle Finanze Olaf Scholz, aveva aperto alla non condizionalità delle linee di credito del Mes, escludendo quindi qualsiasi intervento della Troika, cioè la supervisione di Commissione Ue, Bce e Fmi, in caso di aiuti, ma con erogazioni limitate. In pratica, se non ho capito male, il fondo viene liberalizzato, ma fortemente contenuto fino a metterne in discussione la capacità effettiva di rispondere alle esigenze finanziarie dei Paesi più colpiti.
Vi è poi la vaghezza del Fondo per la ripresa economica, l’impegno cioè a lavorare «su un fondo di recupero per preparare e sostenere la ripresa, fornendo finanziamenti attraverso il bilancio dell’Ue a programmi progettati per rilanciare l’economia in linea con le priorità europee e garantire la solidarietà dell’Ue con gli Stati membri più colpiti. Tale fondo sarebbe temporaneo, mirato e commisurato ai costi straordinari dell’attuale crisi. Gli eurobond, fortemente voluti dall’Italia ma respinti da Olanda e Germania, non compaiono mai nel testo. Però non vengono esclusi del tutto. Indicando il lancio di strumenti innovativi, si lascia infatti la porta aperta alla possibilità di creare prodotti di debito europeo, garantiti quindi dall’Unione e non più da un singolo Paese. L’Eurogruppo scrive che i nuovi strumenti avranno una durata limitata nel tempo e saranno alimentati con misure «innovative». Non si dice però quali siano. Se ne parlerà nei prossimi mesi. Ma il tempo in questo momento è la variabile cruciale.
Purtroppo il bicchiere mezzo pieno in Italia sta dando adito a polemiche politiche piuttosto squallide, creando un clima di scontro, che sicuramente non farà bene al prosieguo delle trattative in sede europea. Senza la bottega europea non possiamo fare. Cerchiamo di entrarvi senza riserve mentali sovraniste presenti nei maggiorenti dell’opposizione e in certi esponenti pentastellati della maggioranza, ma con la dovuta convinzione valoriale, la necessaria credibilità esperienziale e l’auspicabile autorevolezza professionale e politica, pretendendo e meritando rispetto. Non siamo gli accattoni che scialacquano le elemosine, abbiamo i nostri gravi problemi (e chi non ne ha?). Saremo capaci di comportarci non da clienti insoddisfatti, ma da soci compartecipi? La posta è altissima, rendiamocene conto.