Mi trovavo per impegni professionali nell’anticamera della Commissione Tributaria di secondo grado di Parma (la Corte d’Appello del fisco) e partecipavo al gossip di attesa, vertente sulle solite lamentele riguardanti la complessità degli adempimenti fiscali per il contribuente e la loro scarsissima chiarezza. Teneva banco un esperto professionista di Milano, il quale, ad un certo punto, stupì tutti con una rivelazione dal sapore scandalistico. In riferimento al contenuto delle risoluzioni del Ministero delle Finanze (le risposte che gli uffici centrali danno ai quesiti dei contribuenti singoli o associati) chiese ai presenti se conoscessero il perché di tanta ambiguità e di così poca chiarezza. Nessuno ebbe una risposta pronta e questo pretenzioso commercialista sputò la sua motivazione: «Dal momento che le risoluzioni vengono redatte da funzionari di alto livello, responsabili di quanto affermano, esisterebbe una norma ovviamente segreta, una sorta di patto corporativo in base al quale verrebbero introdotti nel corpo delle risposte espressioni ambigue, parole contraddittorie, incisi fuorvianti in modo da rendere interpretabile in modi diversi il testo e da evitare quindi spiacevoli responsabilità ai funzionari stessi. Questi quindi solleverebbero comunque un po’ di polvere per coprirsi le spalle da errori o da leggerezze interpretative». Tutti i presenti rimasero di stucco. Anch’io non reagii, la discussione cadde, ma il dubbio rimase ed ogni volta che leggevo una risoluzione ministeriale poco chiara mi ricordavo di quell’illustre signore: l’aveva sparata grossa, ma forse non era andato lontano dalla verità.
Sarà così anche nell’applicazione delle disposizioni di legge anticoronavirus e per agevolare i soggetti danneggiati da questa terribile e lunga emergenza? Se il buon (brutto) giorno si vede dal mattino, abbiamo cominciato sfornando in pochi giorni ben quattro versioni dei moduli con cui il cittadino deve giustificare le sue eventuali uscite in deroga al lockdown. Poi il sito internet dell’Inps è andato in tilt nel recepire le numerose domande di accesso al poco più che simbolico aiuto di seicento euro per i lavoratori autonomi in difficoltà: alla faccia della informatizzazione dei servizi pubblici. Tutta colpa di quei maledetti computer che ci rovinano la vita?
Dovevo registrare un importante e consistente atto di una cooperativa ed era fortunatamente appena stato approvato un provvedimento di legge agevolativo, che prevedeva la registrazione di un simile atto a tassa fissa anziché proporzionale. Diedi l’incarico al collega che si occupava dei rapporti burocratici con gli uffici fiscali, dopo averlo opportunamente indottrinato sulla novità di legge introdotta. Dopo un’ora ritornò deluso e imbarazzato: l’addetto all’operazione non aveva accettato di registrare l’atto a tassa fissa misconoscendo la norma agevolativa. Andai allora di persona, assieme al direttore della cooperativa interessata, all’ufficio competente per verificare il caso e ottenni un reiterato quanto ingiustificato diniego: l’impiegato non conosceva il testo della norma; glielo feci leggere, ma affermò di darne una interpretazione restrittiva che escludeva il caso in questione. Abbandonai il reparto, ma non mollai l’osso, anche se il responsabile della cooperativa fremeva per l’eventuale perdita di tempo che rischiava di essere più dannosa del pagamento non dovuto di una somma, peraltro notevole, richiesta in sede di registrazione. Mi recai dal direttore dell’ufficio, che gentilmente e tempestivamente mi ricevette (era già un primo piccolo passo avanti). Spiegai l’oggetto del contendere, consegnai il testo della norma di legge: lo lesse e rilesse per alcuni minuti e me lo restituì dichiarando onestamente che avevo ragione nella mia richiesta di trattamento agevolato. A quel punto fiutando quanto avrebbe potuto succedere chiesi la cortesia al direttore di chiamare al citofono il suo sottoposto per fornirgli l’indicazione necessaria. Niente da fare: l’addetto alla registrazione non si voleva convincere e allora…il direttore fu costretto a scendere al piano per parlargli direttamente e, solo dopo aver impartito un ordine ufficiale con tanto di assunzione di responsabilità, riuscì a sbloccare la situazione. La mia testardaggine ebbe la meglio sulla presuntuosa ignoranza di un burocrate di bassa lega.
Mi auguro vivamente che non si debbano fare trafile simili per ottenere i prestiti agevolati varati con apposito decreto dal governo per le imprese in chiare e gravi difficoltà finanziarie. Sarebbe una beffa dopo il danno. Non ci giurerei comunque sui tempi brevi dell’erogazione, nel groviglio di rimpalli tra banche ed Ente di Stato fornitore delle consistenti garanzie. Non voglio fare il menagramo, ma l’esperienza purtroppo mi insegna.
Ricordo, durante un convegno in cui tenni una relazione in materia fiscale, di avere inventato di sana pianta il “ministero del buon senso” e di avervi fatto riferimento nelle risposte ai quesiti che mi venivano posti: operazione rischiosa, ma altrettanto proficua in mezzo ad uno strabiliante ginepraio di norme, interpretazioni e sentenze. Al convegno precedente un giovane ed alto funzionario ministeriale, interpellato su una norma piuttosto controversa, non aveva azzardato una risposta e fin qui la cosa poteva essere spiegabile: fu la motivazione ad irritarmi al limite dell’aperta e pubblica contestazione. Sostenne che prima di rispondere, avrebbe dovuto avere il tempo per valutare l’impatto economico della sua risposta: della serie, il ministero non applica le leggi secondo i dettami del legislatore, ma a seconda della convenienza per le casse erariali. Se il ministro fosse stato presente, avrebbe fatto una colossale ramanzina al suo “fervoroso” funzionario per essere andato ben oltre i limiti del suo stato giuridico oltre che del buon senso di cui, durante la mia vita professionale, non finii mai di chiedere l’applicazione.
Speriamo che l’emergenza coronavirus abbia smorzato i bollenti spiriti della burocrazia e consigliato atteggiamenti di buon senso in linea con le necessità del momento: certe mentalità temo che non cadranno nemmeno sotto i colpi del terribile virus. Virus per virus, chi la spunterà? Dando una sbrigativa occhiata ai rinvii disposti per i versamenti e gli adempimenti fiscali e contributivi, mi sono immediatamente incavolato: non ci si capisce niente in mezzo a rinvii diversificati per imposta e per territorio. Alla fine, se un soggetto vuole stare nel sicuro deve ricorrere al consulente (categoria di persone che non invidio) e allora paradossalmente forse converrebbe osservare le scadenze normali per risparmiare sui costi della consulenza, che rischiano di mangiarsi i vantaggi delle dilazioni di pagamento.
Molto tempo fa il ministro della riforma burocratica Massimo Severo Giannini, dopo qualche tentativo andato a vuoto, vista la difficoltà al limite dell’impossibilità di cambiare le cose, diede le dimissioni preannunciando di voler emigrare negli Usa. Giustamente l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini lo rimproverò aspramente. Avevano ragione entrambi?! Il primo si arrendeva di fronte alla forza degli apparati, il secondo strigliava la politica incapace di superare gli apparati.
Forse non è il caso di emigrare, perché alla nostra demenziale burocrazia gli Usa rispondono con la loro demenziale politica: se in Italia le leggi vengono sostanzialmente disattese dalla lenta e parassitaria macchina burocratica, in America la macchina burocratica applica con sollecitudine leggi sbagliate e contraddittorie. Ognuno ha le sue gatte da pelare. Nel nostro Paese, tutto quanto fatto da una pur debole, confusionaria e discutibile classe politica e di governo a tutti i livelli (anche le poche cose buone e tempestive) rischia comunque di infrangersi contro gli scogli burocratici. Anche la riforma regionale ha finito con l’aggiungere ulteriori catafalchi burocratici (la colorita ed eloquente espressione non è mia e non ricordo da chi venga) alla già pesantissima jungla degli uffici pubblici. Se arriviamo ai comuni le cose peggiorano ulteriormente, perché non conta la vicinanza con il cittadino, ma la professionalità, l’esperienza, la competenza che diminuiscono nettamente andando dal centro verso la periferia. Forse è tutta questione di buon senso. A tal proposito mi viene spontaneo ricordare don Dagnino, un prete che sapeva essere ad un tempo rigoroso e aperto, radicale e dialogante, laico e sacerdote, il quale diede un incoraggiamento sui generis ad un’amica a cui era nato un figlio con un’imperfezioni fisica. «L’important l’è cal g’abia dal bon sens, ‘na roba ca ne’s compra miga dal bodgär», sentenziò con sano realismo umano e religioso di fronte alle ansie di una madre inquieta.