Un ignobile ping-pong sulla pelle dei disperati

Chiodo scaccia chiodo: è un modo di dire antichissimo, una locuzione entrata ormai nell’uso comune. Ma cosa significa realmente? L’espressione ha un significato intuitivo piuttosto semplice: per cacciar via un chiodo piantato male bisogna spingerlo via battendolo dall’altra parte con un altro chiodo. Generalmente il meccanismo funziona: quando sopraggiunge o immettiamo nel nostro circuito psicologico un nuovo forte evento, questo attutisce od elimina l’effetto di un fatto precedente che ci angustiava o preoccupava. Una sorta di rimozione artificiale di un problema tramite un altro generalmente più attuale.

Mi sto chiedendo se il coronavirus stia funzionando come chiodo di ribattuta nei confronti del problema immigrazione. Da quando è esplosa l’epidemia se ne parla pochissimo nonostante proprio in questi ultimi giorni si stia riaprendo il fronte caldo al confine tra Turchia e Grecia. Scene da inumanità conclamata: da una parte i turchi che spingono strumentalmente gli immigrati presenti sul loro territorio verso l’Unione europea, utilizzando la porta d’ingresso greca; dall’altra parte i greci che non ne vogliono sapere di fare da carta assorbente di questo nuovo flusso e reagiscono in modo brutale contro i disperati che tentano il passaggio.

La Turchia si impegnò nel 2016 ad ospitare in modo umanitariamente corretto i migranti siriani in base ad una sorta di contratto d’appalto, stipulato in modo piuttosto strano e inaffidabile a suon di miliardi pagati dalla Ue. Ora, per motivi economici (probabilmente ci saranno ritardi nei pagamenti o si vorrà alzare il prezzo) e per motivi di realpolitik (si cercano appoggi per la schizofrenica e vomitevole politica turca nei confronti della Siria), sembra sia partito il “liberi tutti” ed i migranti, evidentemente e disperatamente insoddisfatti della loro attuale sistemazione, stanno tentando di forzare i blocchi per entrare in territorio europeo.

I patti del 2016 erano sicuramente poco chiari e poco lungimiranti, roba fatta per guadagnare tempo, senonché il tempo è passato e il problema si sta riproponendo, finendo addosso, in prima battuta, alla Grecia. Il dittatore di fatto della Turchia, Erdogan, si sta rivelando squallido personaggio alla ricerca di alleati per le sue squallide politiche interne ed internazionali. Qualcuno sostiene che occorresse a suo tempo accogliere Erdogan in Europa per tentare di tenerlo al guinzaglio: un cane aggressivo e pericoloso è meglio averlo nel cortile di casa piuttosto che vederlo aggirarsi intorno a casa. Io rispondo che i cani di un certo tipo andrebbero messi in un canile tentando di calmarli con potenti farmaci ad hoc.

Qualcun altro ha preferito blandire il cane offrendogli invitanti ed abbondanti pasti, illudendosi, come si dice avvenga per le bestie feroci nei circhi, che, placata la fame, l’aggressività diminuisca e quindi possa essere controllata e domata. Altro errore perché l’appetito vien mangiando ed Erdogan di appetito ne ha parecchio. Fatto sta che la Grecia si trova ad affrontare un’emergenza, che diventerà presto, anzi è già europea e italiana. La polizia spara contro i migranti: si dice stiano avvenendo robe da chiodi, per rimanere in linea con il detto da cui sono partito. L’Europa, come al solito, a livello istituzionale, fa il solletico al problema con sopraluoghi inutili e dichiarazioni generiche; i singoli stati membri fanno, come al solito, i pesci in barile, considerato il fatto che in questo momento, oltre tutto, il barile è strapieno di coronavirus.

Non esiste una politica verso l’immigrazione, si naviga a vista, si vivacchia voltandosi dall’altra parte rispetto alle situazioni inumane che si vengono a creare. Le difficoltà non mancano, ma possibile che non si possa trovare un minimo di strategia di accoglienza basata sul rispetto dei principi umanitari ed una politica di integrazione basata sul ruolo che questi immigrati possono avere in Europa a livello lavorativo e sociale? Non penso possa valere il discorso del “chiodo scaccia chiodo”: i chiodi sono parecchi e tutti ben piantati. Forse sarebbe meglio trovare un nuovo modo di dire: “emergenza chiama emergenza”.