Per chi suona la campana

Quando si è in gravi difficoltà, basta poco per sentirsi risollevati e confortati. Stamani, aprendo il televisore, dopo aver seguito in diretta la messa celebrata a Santa Marta da papa Francesco (un’autentica giornaliera iniezione di fiducia), le trasmissioni di Tv 2000 sono state praticamente aperte dal suono delle campane, che in Belgio riecheggiavano l’inno di Mameli in segno di solidarietà verso il nostro Paese. Mi sono sinceramente commosso: finalmente un piccolo, ma significativo, segno di vicinanza dell’Europa verso l’Italia. Molto più e molto prima degli stanziamenti di carattere finanziario. Cosa sto dicendo? Forse è il caso di andare a prestito da Rodolfo dell’opera Bohème di Giacomo Puccini: Chi son? Sono un poeta.
Che cosa faccio? Scrivo. E come vivo? Vivo. Oso rubare il mestiere ad un mio cugino/fratello, lui è veramente un poeta, io solo un apprendista.

Oltre tutto questo fatto del suono delle campane ha coinciso temporalmente col viaggio di ritorno di un carissimo amico dal Belgio, dove sta faticosamente inserendosi nel mondo del lavoro nel settore culturale: viaggio difficile, per le note barriere alzate nei collegamenti tra i diversi Paesi, obiettivamente rischioso, per i contatti che, pur adottando tutte le possibili precauzioni, inevitabilmente si hanno su aerei e treni, e complicato dalla obbligatoria quarantena successiva al rimpatrio. Ebbene, ho interpretato il suono delle campane come un buon viatico per lui finalmente in arrivo, che ha, speriamo solo temporaneamente, abbandonato un percorso all’estero interessante dal punto di vista culturale e professionale.

Alcune piccole e semplici riflessioni sulla solidarietà, parola tanto abusata quanto tradita. Solidarietà, vocabolario alla mano, è rapporto di comunanza tra i membri di una collettività pronti a collaborare tra loro e ad assistersi a vicenda o, se si vuole, un atteggiamento spontaneo, o concordato, rispondente a una sostanziale convergenza o identità di interessi, idee, sentimenti. Le difficoltà, come detto all’inizio, dovrebbero essere il terreno fertile per far attecchire e crescere questa pianta balsamica: non sempre è purtroppo così, anche se a volte è necessario toccare il fondo della disperazione per far scattare la molla della solidarietà. Sembra essere il caso del coronavirus: non illudiamoci, ma speriamo che la lezione possa insegnarci qualcosa in tal senso, qualcosa che parta dai rapporti più stretti per andare oltre i confini degli Stati e dei continenti.

L’Europa ha bisogno di rilanciarsi su queste basi solidaristiche: smettiamola di irrigidire e burocratizzare i rapporti, usciamo dagli schemi dei forti e dei deboli, interrompiamo la gara a sentirci i primi della classe, abbassiamo le barriere, rimuoviamo i muri, apriamo i porti, collaboriamo senza impantanarci nelle partite di bilancio. L’Europa è nata dalla fantasia politica di alcuni sognatori antifascisti confinati su un’isola, si è costituita ed è cresciuta sulla scommessa di alcuni leader politici democratici e cristiani, capaci di guardare oltre i confini nazionali, poi ci siamo, strada facendo, chiusi e smarriti. Ora siamo tutti confinati e bloccati da una tremenda pandemia e possiamo provare a sognare una Europa dove le campane di un Paese possano suonare l’inno nazionale di un altro Paese, dove il coronavirus suoni le sue trombe di morte, mentre noi suoniamo le nostre campane di vita. Diventiamo tutti campanari in tal senso.

In un paesino della collina parmense vi era un anziano contadino, che fungeva da campanaro della chiesa parrocchiale, un santuario dedicato a santa Lucia: lo faceva con destrezza, passione e dedizione, tali da far presagire una sua possibile morte attaccato alle “sue” campane. Venni a sapere che fu proprio così: lo ritrovarono morto ai piedi della torre campanaria. Vediamo di dare anche noi una simile testimonianza: le campane per risvegliare il senso comune del vivere insieme nella solidarietà fatta istituzione.

Nel frattempo un bentornato di cuore all’amico di cui sopra: lui ha avuto il coraggio di abbattere le barriere in nome della sua cultura e del suo lavoro. Possa anche lui tornare presto, il più presto possibile a suonare le sue campane, in Belgio, in Italia, laddove comunque avrà l’opportunità per farlo proficuamente, culturalmente e professionalmente.