Nel pallone coronavirale

Mia madre osservava in modo attento, ma disincantato, le vicende del mondo del calcio: mi faceva compagnia mentre guardavo le partite in televisione, se ne usciva con osservazioni e domande simpatiche ed acute. A volte, davanti al vortice degli eventi calcistici accompagnati dalle solite ed insulse sbornie mediatiche, si lasciava andare ad una sferzante domanda/commento: «Cò farisla tùtta cla genta lì, se neg fis miga al balón?».  Ben detto dei protagonisti principali, secondari e terziari di un mondo sempre più paradossale ed assurdo: quelli che io amo chiamare “magnabalón”.

Il coronavirus ha il “macabro merito” di portare il fenomeno allo scoperto con tutte le contraddizioni al limite della buffonata, con tutti gli interessi al limite della sporcaccionata, con tutti i difetti al limite del bordello. Il mondo del calcio sta dando una dimostrazione della sua pessima capacità di autogoverno: ordini e contrordini, baruffe interne, privilegi e conflitti. Sui media viaggia la domanda: il campionato di calcio verrà falsato dal coronavirus così come è gestito, in modo a dir poco dilettantesco da un management super-pagato e super-impreparato? Ma il campionato di calcio è di per se stesso una falsificazione dei valori sportivi ridotti a rissa miliardaria! L’attuale emergenza non fa che evidenziare i mali preesistenti, non è che la ciliegina su una torta sofisticata e avvelenata.

Ho molto apprezzato il commento del ministro Spadafora sulla querelle “si gioca, non si gioca, si gioca a porte chiuse, si rinvia a data da destinarsi” etc.”, in risposta al tentativo di scaricare sul governo responsabilità tutte pallonare. Cito a senso: “Non mi preoccupo dello stress dei milionari calciatori costretti ad un super lavoro per ricuperare i rinvii; sono molto più interessato alle fatiche di medici, infermieri, operatori sanitari costretti ad un superlavoro, a turni faticosi, a rischi di contaminazione, etc.”. Finalmente, mi sono detto, il M5S, di cui Spadafora è un esponente, fa il suo mestiere di denuncia delle cose che non vanno: un pizzico di demagogia, questa volta, ci sta benissimo. Bravo Spadafora!

Il fronte sportivo è scombussolato dall’emergenza coronavirus: nei primissimi giorni dell’acclarato contagio sono stati sospesi gli avvenimenti sportivi localizzati nelle regioni più a rischio. Partite di calcio bloccate. Si doveva giocare la finale della coppa Italia di basket in un palazzetto dello sport sito in un comune del bolognese. Ero interessato a questo evento un po’ per uscire dalla routine calcistica dedicandomi alla pallacanestro. Mio padre la chiamava “palla al cesto” con un finto strafalcione ironico, ne era tuttavia interessato, anche se lo riteneva sarcasticamente lo sport inventato per gli spilungoni (“Pistolón”, per dirla in modo schietto e netto), che altrimenti non avrebbero saputo come e dove giocare per guadagnare fior di quattrini (sempre la solita storia).

Ebbene quella partita di basket si è giocata (in un ambiente chiuso ed affollatissimo, certamente molto più a rischio di uno stadio all’aperto) alla faccia dell’emergenza coronavirus, con tanto di dichiarato ed espresso ringraziamento al governatore dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Guardando quell’incontro, peraltro bello e coinvolgente, mi chiedevo brutalmente e polemicamente, senza alcun intento offensivo: Bonaccini o è un delinquente o è un cretino… Propendo per la seconda ipotesi limitata a questo fatto (lo dico anche perché l’ho votato convintamente). Al di là dello smarrimento di Bonaccini e di tutti i pubblici amministratori, è emersa subito una confusione di idee del mondo sportivo incapace di autogestirsi ed autoregolarsi.

So benissimo che lo sport rappresenta una quota importante del pil nazionale, che ha una grossa portata umana e sociale, ma cerchiamo almeno di essere seri in occasioni come questa. Qualcuno dubita che il tira e molla sulle partite di calcio e la volontà di giocare col pubblico e non a spalti deserti siano dovuti alla preoccupazione di non dare all’estero dell’Italia un’immagine di paese contaminato ed appestato. Ebbene stiamo dando un’immagine ben peggiore, cioè quella di voler affrontare i più gravi problemi all’italiana, cioè “saltandoci fuori ad una qualche maniera”.

Ho cominciato il pezzo con mia madre e lo chiudo con lei. Fra le gustose chiacchiere, di cui mi onorava a margine delle partite di calcio, c’è una domanda sibillina, retorica, ma molto profonda e, per certi versi, molto attuale: se il pallone entra in porta e poi esce, il gol è valido? A parte il fatto che nella sua semplicità probabilmente profetizzava la cosiddetta “goal line Technology”, il marchingegno inventato per vedere se il pallone supera la linea di porta, certamente intendeva sdrammatizzare il calcio e ridurlo a quello che dovrebbe essere, vale a dire un gioco. Chi lo vuole enfatizzare e portare a fenomeno vero e proprio finisce col farne una buffonata virale.