L’irrinunciabile solidarietà

La sconvolgente emergenza che stiamo vivendo forse dovrebbe indurci più a riflettere che ad agitarci alla ricerca di impossibili difese e sicurezze. Non sottovaluto l’impegno di tutti quanti a vincere questa autentica guerra contro un invisibile e subdolo nemico: si tratta di assumere atteggiamenti e comportamenti virtuosi, che purtroppo tendono a considerare le altre persone come possibili anche se involontari untori a nostro danno. Le inevitabili regole dettate dalle autorità hanno una immediata e fortissima valenza divisiva: ne voglio passare rapidamente in rassegna alcune.

Mantenere una distanza di almeno un metro, qualcuno aveva addirittura proposto due metri, dalle altre persone, salutarsi da lontano senza baci, abbracci o strette di mano: un invito all’isolamento, a considerare l’altro come un pericolo, un soggetto da tenere a distanza.

Evitare i luoghi affollati, rimanere il più possibile a casa, sono vietati incontri pubblici, convegni, congressi: un invito a chiudersi nel proprio guscio, a optare, come sosteneva ironicamente un mio simpatico zio, per la compagnia in numero dispari inferiore a tre.

Volendo approfondire paradossalmente queste indicazioni, dobbiamo evitare di chiedere ai nonni di accudire ai nipoti, consigliare di andare al lavoro se è proprio indispensabile. Siamo costretti a ribaltare le regole della civile convivenza. Sinceramente mi chiedo se non sia peggio il rimedio della malattia, rischiamo di infettarci tutti di egoismo e individualismo.

È la fine del nostro vivere civile? Regrediamo in una jungla? Desertifichiamo la nostra società? E i nostri affetti, i nostri amori, le nostre amicizie? Facciamo tutto al telefono? Non sarà per caso la rivincita dei telefonini se mai tentavamo di ridimensionarne la portata? La paura, da che mondo è mondo, andrebbe combattuta parlando con gli altri, confrontandosi con loro, socializzando: ora va combattuta chiudendosi in se stessi ed elevandola all’ennesima potenza.

Il bagno di sangue del coronavirus con la morte di tante persone rischia di diventare la morte famigliare e sociale. Sto esagerando? Forse sì. E allora che fare? Ricordo come ai tempi dell’emergenza Aids ebbi un colloquio con un infettivologo al quale chiedevo utili consigli per una vita sessuale protetta e non repressa. Ad un certo punto si lasciò andare e mi disse (cito a senso): «Se devo essere sincero, io a certe “cose” non rinuncio, le considero il sale della mia vita». Era stato fin troppo chiaro. Il coronavirus è di gran lunga peggio dell’Aids a livello epidemiologico, ma anche in senso umano: per evitare il contagio nel primo caso era sufficiente astenersi da certi comportamenti sessuali trasgressivi, nel caso coronavirus, volendo estremizzare, non si può stringere la mano ad un amico né dare un bacio alla propria compagna.

Mi ripeto: e allora che fare? La risposta esatta sarebbe, è solidarizzare. Sì, ma senza gesti di solidarietà?! Ricordo quel paragone impossibile che diceva di un tale: aveva un alito talmente fetido che non si poteva nemmeno parlargli al telefono. Già essere solidali è difficile, ora diventa quasi impossibile! Gesù toccava i lebbrosi, noi non possiamo nemmeno stringere la mano al più caro amico.

A proposito di strette di mano, nell’opera lirica “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi, un giudice chiede a Riccardo di firmare l’atto di condanna a morte della maga Ulrica, ma il governatore preferisce conoscerla di persona e si reca in incognito nel suo antro, accompagnato da Oscar un giovane paggio e da un gruppo di amici, chiedendole di predirgli il futuro. La maga gli predice che sarà’ ucciso dalla prima persona che gli stringerà la mano, ma l’arrivo di Renato e la sua amichevole stretta di mano sembrano tuttavia fugare ogni timore. Finì invece molto male perché Riccardo venne ucciso da Renato per avergli insidiato la moglie.

Scherzi del destino a parte, penso che i gesti di amore, amicizia e solidarietà siano a prova di coronavirus. Chiedo scusa se sono stato molto provocatorio, quasi disfattista, ma a fin di bene. Non intendo fare alcuna (auto)istigazione alla disobbedienza, ma riempire di significato l’ubbidienza.  Volendo estremizzare eticamente il discorso, preferisco morire per un gesto d’amore che vivere (?) per l’effetto di tanti gesti di egoismo.