Il granguignolesco coronavirus

Mi ero ripromesso di non commentare l’emergenza coronavirus sforzandomi di non incaponirmi in una sorta di delirio collettivo e di pensare anche ad altri fatti. Non ci sono riuscito anche perché, da qualsiasi parte mi volgo, mi imbatto direttamente o indirettamente in discorsi riguardanti il virus. Tanto vale allora scrivere le mie impressioni al riguardo.

Innanzitutto, come è stato affrontato il coronavirus a livello informativo? In Cina hanno spietatamente cercato di coprire l’emergenza perdendo tempo prezioso nella lotta contro questa insorgente epidemia; in Italia dell’informazione sull’andamento preoccupante del dilagare del virus se ne sta facendo una vera e propria sbornia mediatica di tipo spettacolare, capace di creare più panico che consapevolezza, più curiosità che sensibilità, più morbosità che attenzione. Dalla silenziosa padella del regime cinese alla garrula brace dei media nostrani in sadica ricerca della spettacolarità. Si sta infatti creando un clima di confusione e panico, che nulla ha da spartire con una seria consapevolezza dei rischi e dei rimedi. Oltre tutto arrivano anche opinioni e analisi contrastanti atte a confondere ancor più le idee della gente.

Sì, perché il secondo punto critico è quello dell’equivoco sulla natura dell’emergenza: autorevoli medici affermano che trattasi di una epidemia influenzale, che va affrontata come tale e combattuta con le armi normali del caso, senza drammatizzare sulla pericolosità e la mortalità che rimarrebbero in media con le infezioni virali di questo tipo.  “A me sembra una follia. Si è scambiata un’infezione appena più seria di un’influenza per una pandemia letale. Non è così”. A scrivere queste parole sulla sua pagina Facebook è Maria Rita Gismondo, direttore responsabile di Macrobiologia Clinica, Virologia e Diagnostica Bioemergenze, il laboratorio dell’Ospedale Sacco di Milano in cui vengono analizzati da giorni i campioni di possibili casi di coronavirus Covid-19 in Italia. “Il nostro laboratorio ha sfornato esami tutta la notte. In continuazione arrivano campioni, è scritto nel post della direttrice del laboratorio in Lombardia. “Leggete! Non è pandemia! Durante la scorsa settimana la mortalità per influenza è stata di 217 decessi al giorno! Per Coronavirus 1!!!”, recita un post pubblicato da Gismondo.

Il virologo Roberto Burioni replica senza mezzi termini: «Niente panico, ma niente bugie. Attenzione a chi, superficialmente, dà informazioni completamente sbagliate. Qualcuno, da tempo, ripete una scemenza di dimensioni gigantesche: la malattia causata dal coronavirus sarebbe poco più di un’influenza. Ebbene, questo purtroppo non è vero» scrive sul sito Medical Facts. «Leggete i numeri – indica – uno dei nostri cardini è stato il tentare di informare nella maniera più corretta i nostri lettori. Mai allarmismi, ma neanche si possono trattare i cittadini come bambini di 5 anni. Non dobbiamo omettere nessuno sforzo per tentare di contenere il contagio».

Mi risulta che le caratteristiche della pandemia siano accertati dalla Organizzazione Mondiale della Sanità: ho provato a capirci qualcosa, ma non ho concluso niente. Mi pare tuttavia che anche a quel livello ci siano pareri discordanti. È pur vero che la medicina non è una scienza esatta. Un medico amico, qualche tempo fa, mi confidò di assimilare la medicina più alla letteratura che alla matematica. Ricordo le parole di un altro medico sul problema della verità da rivelare al malato: non serve la bugia pietosa, ma una informazione equilibrata, leale e fiduciosa. Le bugie totali o parziali di regime, le verità mediatiche gonfiate ed enfatizzate, le contraddittorie analisi scientifiche buttate in faccia alla gente sono modi per mentire o per spaventare o per confondere le carte.

Resta il fatto che l’emergenza coronavirus si sta fronteggiando con provvedimenti estremi come isolamenti, cordoni sanitari, quarantene, mobilitazioni generali, etc. etc. Forse non stiamo facendo della prevenzione, forse non stiamo solo usando prudenza e cautela, ma stiamo esagerando, presi nel vortice della spettacolarizzazione ad ogni costo e di ogni evento, forse stiamo mettendo le mani avanti più per coprire le spalle alle pubbliche autorità (le quali non hanno tutti i torti a temere ripercussioni: è un attimo finire nei guai seri per omissione di atti d’ufficio) che per proteggere la salute delle persone. Non vale del tutto il discorso che si fa generalmente: meglio eccedere in prudenza che subire gli eventi. Va bene finché la prudenza non diventa allarmismo e la cautela nei comportamenti non sfocia nel panico: diversamente, come dicono in Veneto, “xe pèso el tacòn del buso”.

Sembra esista molta attenzione e tanta volontà di impegno a livello istituzionale, le prime mosse si collocavano al di sopra delle parti (anche se l’evento coronavirus si presta ad essere utilizzato dagli uni per esibire sul campo patenti di bravura e dagli altri per indirizzare accuse di incapacità o leggerezza). Il clima collaborativo è durato poco. Qualcuno non ha resistito alla perfida tentazione di strumentalizzare l’emergenza per insinuarsi nei normali corto-circuiti del problematico coordinamento e del reciproco rispetto delle competenze (i rapporti del governo con le regioni). Non mi scandalizzo se in questo clima infuocato si verificano scontri ai massimi livelli della pubblica amministrazione centrale e periferica: sarebbe tuttavia molto meglio evitarli. Si intravedono anche questioni di realpolitik nei rapporti internazionali (con la Cina, con la stessa Europa, con l’OMS). Ci si chiede come mai emerga questa forte presenza del virus in Italia a differenza degli altri stati europei: troppi controlli in Italia o troppo pochi controlli altrove? Troppa smania di trasparenza nel nostro Paese o troppa riservatezza nazionalistica negli altri Paesi? Bisogna poi considerare anche il fatto che si stanno rincorrendo due emergenze, di cui è forse difficile stabilire cinicamente quale sia la più grave: quella sanitaria e quella economica. Gli andamenti economici sono messi a repentaglio e non sarà facile riparare gli incalcolabili danni provocati all’economia da questa situazione emergenziale: occorrerà molto tempo per ripristinare le normali regole produttive, commerciali e di mercato.

Il dato positivo è quello del funzionamento delle istituzioni e delle strutture preposte alla sanità: lasciamoli lavorare e non subissiamoli di chiacchiere inutili se non dannose. Nelle conferenze stampa e nelle interviste parte una raffica di domande volte non tanto ad ottenere ulteriori chiarimenti, ma ad estorcere qualche notizia choc da spendere nei notiziari. Uno di questi giorni, accendendo il televisore, mi sono imbattuto in una trasmissione mattutina su una TV privata, in cui si sarebbe dovuto dibattere l’argomento coronavirus, che esponeva in bella evidenza il titolo, il leitmotiv della discussione stessa: “Conte attacca le regioni”. Tutto perché il presidente del Consiglio aveva chiesto alla regione Marche e a qualche altra regione di soprassedere a certi provvedimenti esagerati e non in linea con gli schemi di intervento adottati in generale e perché si era permesso di mettere in dubbio il comportamento di un ospedale nell’occhio del ciclone. Ho cambiato canale e sono passato alla TV pubblica: ebbene, dissertavano sull’effetto che avrà l’emergenza coronavirus sulla tenuta del governo (autentica spazzatura culturale e politica).

Un vero e proprio sciacallaggio informativo, una gara allo scoop della paura. Alla fine tutti, dopo questa sarabanda di notizie, lanciano paradossalmente appelli al senso di responsabilità e alla collaborazione delle persone stordite e impaurite. Sappiamo che il peggior modo per tranquillizzare una persona è quello di invitarla a stare calma dopo avergli prospettato una realtà drammatica. Non stupiamoci quindi se è scattata la irrazionale corsa all’accaparramento di generi alimentari a lunga conservazione.

Il quadro è complesso, estremamente delicato e molto difficile. Ebbene, non sciupiamo tutto su un macabro e granguignolesco palcoscenico. Per favore, usiamo al meglio gli strumenti che abbiamo e non facciamone un colpevole abuso. Che Dio ce la mandi buona e, da parte nostra, cerchiamo di comportarci seriamente e di non chiacchierare inutilmente. Grazie a chi sta lavorando e silenzio a chi sta blaterando.