Emergenza continua e totale

Esiste una categoria di persone che non sa un cazzo, ma lo dice bene. Era la specialità di Gianfranco Fini, a detta degli uomini di cultura della sua area politica. La categoria è in continua espansione soprattutto in periodi in cui i problemi si fanno drammatici e aumenta il numero di quanti dettano ricette miracolose e sfoderano bacchette magiche.

Grazie a Dio e a lui, il professor Massimo Cacciari appartiene ad un’altra categoria, che effettivamente si esprime un po’ su tutto, ma non solo dice bene, ma dice cose intelligenti e profonde. Un tuttologo di grande rispetto, che merita di essere ascoltato. Sul tema coronavirus ha fatto due ragionamenti molto interessanti: li riprendo brevemente, aggiungendo qualche mia ulteriore valutazione, che mi auguro non stravolga il pensiero dell’illustre filosofo prestato alla società.

Il primo parte dalla necessità conclamata, per la nostra società e per chi la governa a tutti i livelli, di fronteggiare le emergenze continue e di vario genere, tipiche del mondo globalizzato in cui viviamo: dalle mastodontiche crisi finanziarie agli inarrestabili flussi migratori, dalle rovinose situazioni climatiche al degrado dell’ambiente, dalle guerre tra ricchi a quelle tra poveri, dagli insorgenti e sbracati razzismi alle emergenze sanitarie come il coronavirus. Bisogna cioè essere sempre e costantemente preparati al peggio e tarare conseguentemente strutture, strumenti, risorse umane e finanziarie in modo da farvi fronte. Una sorta di protezione civile totale.  A ben pensarci si tratta di un ribaltone culturale: dobbiamo passare da prospettive di miglioramento e progresso a sforzi di contenimento dei rischi e di mantenimento del positivo esistente.

Il secondo è un discorso etico: è inutile, retorico e fuorviante dichiarare, come avviene in questi giorni, che prima viene il contrasto alla malattia epidemica e poi viene l’emergenza economica. L’economia in grave crisi, infatti, soprattutto con i suoi contraccolpi a livello lavorativo, genera altrettante malattie psicologiche e sociali: disoccupazione, frustrazione, squilibri famigliari, devianze, etc. Non si può affrontare la situazione a fette, va vista nel suo complesso e come tale va governata. Tradurre in pratica questo ragionamento è di una difficoltà estrema, anche se diversamente si rischia di sbagliare la mira e creare panico su panico.

Tento di fare due esempi per riflettere sulle provocatorie ma imprescindibili analisi cacciariane. Il sistema sanitario dovrebbe essere tarato sulle possibili e probabili emergenze a livello di strutture, di personale, di organizzazione, senza sprecare nulla, ma senza risparmiare niente in termini di risorse umane e finanziarie. In campo economico, se crolla la domanda interna ed internazionale non basta iniettare qualche miliardo a sostegno della produzione, ma occorrerebbe una gigantesca cassaintegrazione capace di assorbire nel tempo e nello spazio gli aggiustamenti necessari a livello imprenditoriale. E i bilanci pubblici dove andrebbero a finire? Se vogliamo essere e rimanere uomini, dobbiamo trovare le risorse, considerando che tali indirizzi governativi a loro volta potrebbero e dovrebbero creare sicurezza, qualità di vita, salute e quindi rimettere in moto, seppur diversamente l’economia. Questi discorsi non valgono solo per l’Italia, ma per l’Europa e per il mondo. In questi anni ci siamo riempiti la bocca parlando di globalizzazione economica, sarà il caso di cominciare a parlare di globalizzazione sociale piuttosto che retrocedere nello sciocco sovranismo antivirale.

Al professor Cacciari è stato chiesto se ha paura di essere contagiato dal coronavirus, dal momento che ragionava di massimi sistemi e sembrava prescindere dal panico dilagante. Ha risposto di non avere alcuna paura, pur ammettendo che anche la paura è un elemento che contribuisce a creare il contesto su cui la politica in generale e chi governa in particolare devono intervenire. Mi permetto di aggiungere una mia affermazione personale: anch’io non avrei alcuna paura del coronavirus, se il rischio rimanesse circoscritto alla mia persona, alla mia vita, alla mia malattia ed eventualmente alla mia morte. Ma purtroppo non è così e la mia sorte è strettamente legata a quella altrui, sono connesso agli altri, a chi amo, a chi conosco, a chi non conosco e il mio disinvolto comportamento potrebbe creare guai seri a chi mi circonda. Ragion per cui non devo avere paura, ma devo stare ben attento a quel che faccio!