“Liftingati” e vaccinati

È il periodo dei due Matteo di cui, se posso essere scurrile, ho piene le balle! Che la politica italiana, con tutti i problemi di cui dovrebbe occuparsi, sia avvitata sui pruriti protagonistici di Salvini e Renzi è cosa a dir poco sgradevole. Che stufäda… So di fare accostamenti a dir poco paradossali, azzardati ed esagerati, ma, qualunquisticamente parlando, a volte può servire anche “fär ‘d tutt ilj erbi un fas”.

Il Matteo leghista gioca a fare il patriota, il martire, la vittima: sono mesi, per non dire anni, che riempie le istituzioni e le piazze di show, atteggiandosi a uomo della provvidenza, capace di interpretare le paure e le frustrazioni degli italiani dopo averle ispirate e coltivate. In Emilia-Romagna gli hanno consegnato il foglio di via obbligatorio e allora lui si è trasferito al Senato dove ha inscenato la commedia Gregoretti in tre atti: il primo per farsi processare, il secondo per non farsi processare, il terzo per lasciare decidere agli altri visto che comunque avrebbero deciso in modo a lui sfavorevole. Una pantomima post-governativa dopo quella imbastita al Viminale. Se la magistratura competente lo manderà sotto processo, lui ha già pronta la difesa da piazza; se la magistratura archivierà il caso, lui ha già pronto l’attacco da piazza; se si instaurerà un vero e proprio processo a suo carico, lui ha già pronta la campagna elettorale da sciorinare nel tempo. Fin che qualcuno (spero la maggioranza degli italiani) avrà il buongusto di mandarlo a casa invitandolo a fare il buffone, confinato a Milano, in via Bellerio.

Il Matteo italo-vivaista gioca a fare il garantista, il moderato, il terzo incomodo: ha operato una folle scissione dal partito democratico, volendosi distinguere dalla sinistra senza andare troppo al centro, tenendosi in una sorta di prima periferia in cui si è lontani dal governo centrale, ma da cui si fa in un attimo a tornarci dentro. L’occasione per fare casino è al momento la prescrizione dei reati penali, ma, se il pretesto non ci fosse stato e non ci sarà, lui lo avrebbe inventato e lo inventerà. Non tace un attimo, si agita in continuazione, appoggia il governo Conte bis da lui stesso prefigurato, ma si tiene le mani libere per sparargli contro. Se il governo giallo-rosso durerà, sarà merito suo per averlo sostenuto criticamente; se il governo cadrà, lui sarà il grilloparlante che da tempo ne aveva individuato i troppi limiti e difetti; se il governo vivacchierà, lui continuerà a fare il pendolo fra l’opposizione e la maggioranza, accreditandosene vigorosamente i meriti e respingendone sdegnosamente gli insuccessi. Fin che qualcuno (spero l’elettorato italiano) avrà l’opportunità di assegnarli una percentuale di voti da prefisso telefonico, pregandolo di tornare a fare il sindaco a Firenze (fiorentini permettendo).

Mentre con Matteo Salvini e la sua parte politica non ho niente da spartire, con Matteo Renzi ho un conto aperto: mi sono illuso che potesse introdurre qualche novità nel modo di governare della sinistra. È bastato il sassolino (?) referendario nella scarpa presuntuosa renziana per fargli smarrire la bussola e metterlo alla testarda ricerca di un pronto e sempre più impossibile riscatto.

Il centro-destra ha pieni i coglioni del dittatore dello stato libero di Valpadanas; il centro-sinistra non ne può più di Ghino di Tacco riveduto e scorretto. E se facessero un compromessino antistorico per mandarli a casa entrambi? Portando in trionfo Silvio Berlusconi dopo l’ennesimo intervento di lifting col miracoloso acido ialuronico e dall’altra parte riportando in pista Massimo d’Alema (Veltroni permettendo) dopo una vaccinazione a base di siero dell’umiltà. Gianni Agnelli, all’indomani dello scoppio di tangentopoli, sosteneva che per rifare una classe dirigente sarebbero occorsi vent’anni. Non è vero se dopo trent’anni si deve ricominciare quasi tutto da capo. Alla fine di un mezzo secolo si vedrà. Io non ci sarò più, meno male.